Sarà pur vero che la Guerra Fredda si è conclusa da più di un quarto di secolo, ma gli ultimi mesi hanno configurato uno scenario geopolitico rispetto al quale la Russia occupa una posizione sempre più preminente e oscura: dal cosiddetto Russiagate, la cui lunga ombra si è estesa fino alle presidenziali americane del 2016, facendo tremare la Casa Bianca di Donald Trump, alla quarta vittoria elettorale di Vladimir Putin, fra presunte irregolarità e la preoccupazione della comunità internazionale, passando per l'avvelenamento in suolo britannico della spia russa Sergei Skripal e di sua figlia, con tanto di accuse esplicite del Primo Ministro Theresa May all'indirizzo dello Zar Putin.
Insomma, mentre il nostro presente fa via via meno fatica a rivaleggiare con l'epoca della "cortina di ferro" e con la finzione artistica dedicata a storie di spionaggio, omicidi e complotti di ogni tipo, la Russia si accinge a tornare protagonista anche sul piccolo schermo: dal 28 marzo, infatti, avrà inizio sulla rete americana FX la sesta e ultima stagione di The Americans, titolo per certi versi antifrastico di una serie che mette al cuore del racconto le vicende di due spie sovietiche di stanza negli Stati Uniti di Ronald Reagan.
Leggi anche: The Americans, stagione 5: il ritorno delle spie
Dalla Russia con amore
Giunto al capitolo conclusivo di un percorso iniziato nel 2013, The Americans, pur non essendo mai diventato un fenomeno di massa (ma del resto non ne ha mai avuto le caratteristiche), ha goduto di un limitato ma solido successo nel corso di questi cinque anni: merito delle recensioni entusiastiche della critica televisiva, degli importanti riconoscimenti ottenuti, fra cui il Critics' Choice Award 2015 e il Writers Guild Award 2016 come miglior serie drammatica e due Emmy Award per l'attrice guest star Margo Martindale, ma soprattutto di un intenso passaparola fra gli appassionati. All'origine della serie vi sono la fantasia e l'esperienza dello showrunner Joe Weisberg, che prima di pubblicare due romanzi era stato per anni un ufficiale della CIA: un curriculum lavorativo che Weisberg, in collaborazione con Joel Fields, ha riversato nella creazione di un prodotto fra i più densi, raffinati e narrativamente potenti del panorama televisivo.
Dunque, mentre noi affezionati di lungo corso aspettiamo con ansia questa sesta stagione, che metterà il punto all'avventura dei coniugi Philip ed Elizabeth Jennings, a tutti i neofiti che volessero immergersi per la prima volta nell'inquietante universo di The Americans ricordiamo che il catalogo italiano di Netflix mette a disposizione le prime quattro stagioni della serie. E se a questo punto siete tentati all'idea di scoprire una delle più belle serie del decennio, proviamo a convincervi definitivamente elencando alcuni fra i principali motivi del suo perturbante fascino...
Leggi anche: Le signore in prima linea: le migliori eroine della TV USA
La doppia vita dei coniugi Jennings
Recuperando un elemento canonico nella tradizione del genere di spionaggio, The Americans pone al fulcro della trama il tema della "doppia vita": nello specifico quella di Philip ed Elizabeth Jennings, interpretati con eccezionale aderenza da due volti già noti del piccolo schermo, Matthew Rhys e Keri Russell, candidati all'Emmy e al Golden Globe per i rispettivi ruoli. Philip ed Elizabeth vivono a Washington D.C. e costituiscono un'impeccabile esemplificazione dell'American way of life: gestiscono un'agenzia di viaggi, hanno due figli adolescenti, Paige (Holly Taylor) ed Henry (Keidrich Sellati), e sembrano una coppia gentile e affiatata. La famiglia perfetta e i vicini ideali, come potrebbe testimoniare Stan Beeman (Noah Emmerich), l'agente dell'FBI che abita nella casa accanto.
Eppure, fra l'apparenza e la realtà vi è una distanza siderale. Perché Philip ed Elizabeth, i cui veri nomi sono Mikhail e Nadezhda, sono nati in Russia, a dispetto del loro impeccabile inglese, e sono diventati marito e moglie per ragioni puramente 'professionali': i due, infatti, sono agenti segreti al servizio del KGB, diretti e coadiuvati dalla misteriosa Claudia (Margo Martindale). La fatica di mantenere in piedi questa doppia esistenza, e la necessità di preservare un equilibrio geometrico fra le vite di Philip ed Elizabeth e quelle di Mikhail e Nadezhda, diventa così l'autentico dramma al cuore della serie: la frammentazione di un'identità personale portata a scomporsi e perfino a moltiplicarsi. Non a caso una delle sottotrame principali della serie riguarda la "terza vita" di Philip: quella nei panni del goffo e sensibile Clark Westerfeld, impegnato a sedurre l'ignara e innamoratissima Martha Hanson (Alison Wright) al fine di procurarsi un 'orecchio' negli uffici dell'FBI.
Leggi anche: The Americans, stagione 3: la Guerra Fredda si combatte in TV
Le spie venute dal freddo
In The Americans, dunque, non mancano gli ingredienti classici delle spy story, ovvero menzogne, alter ego, missioni segrete, delitti e suspense: quella suspense che monta gradualmente fino ad esplodere nei momenti clou delle varie stagioni. Eppure, la componente thriller e spionistica è solo una parte della natura della serie di Joe Weisberg: una serie che ci fa addentrare passo dopo passo nell'individualità dei propri personaggi, nella complessità delle loro reciproche relazioni e in un labirinto di incertezze, angosce abilmente mascherate e laceranti problemi morali, spesso consumati dietro la silenziosa facciata di un sorriso.
Perché in effetti la vera tensione, in The Americans, è proprio quella che si consuma in maniera invisibile nell'animo di Philip ed Elizabeth: due individui che si trovano a dover conciliare la fedeltà alla Madre Russia con responsabilità, sentimenti e paure di una coppia di coniugi e genitori desiderosi di proteggere la propria famiglia... e con quelli di due spie costrette a compiere sacrifici durissimi e a bagnarsi le mani di sangue. Dilemmi di tipo diverso, ma in fondo non così dissimili, sono quelli che, di volta in volta, affronteranno anche gli altri personaggi: da Paige, teenager alle prese con una difficile maturazione, a Stan, che finirà per diventare il miglior amico di Philip; da Martha, divisa fra amore e senso del dovere, agli innumerevoli altri 'attori' di questo sommesso dramma collettivo (e a distinguersi, nel ricchissimo cast di cinque stagioni, c'è pure un magnifico Frank Langella).
Leggi anche: The Americans: il commento al finale della stagione 4, fra colpi di scena e cliffhanger
"Running in the shadows, damn your love, damn your lies"
Se pertanto è indubbio che, in The Americans, la materia narrativa spionistica funga da veicolo per raccontare moltissimo altro, conserva però un'importanza fondamentale il contesto storico e culturale in cui hanno luogo gli eventi della serie: gli Stati Uniti degli anni Ottanta, l'ultimo decennio della Guerra Fredda, che sotto la Presidenza di Ronald Reagan stava entrando in una delle sue fasi più aspre e feroci. E uno dei maggiori meriti di Joe Weisberg risiede appunto nella capacità di farci percepire quell'atmosfera di sospetto e di inquietudine: a partire dalla Washington D.C. dipinta nella serie, un microcosmo notturno o inesorabilmente plumbeo, che funziona quasi da correlativo oggettivo dei turbamenti dei protagonisti. Ma la tensione con l'Unione Sovietica non è che un'ombra nell'America di quegli anni: un'America che la serie ci restituisce mediante un quadro d'epoca di straordinaria vividezza, tra mode e look tipici, nuove tendenze culturali e un senso di quotidianità che rende quegli anni Ottanta incredibilmente vicini alla nostra contemporaneità.
Senza dimenticare, ovviamente, la musica: non solo una Madeleine per rievocare un'epoca ben precisa, ma uno strumento primario nell'economia della narrazione e della messa in scena, adoperato con formidabile efficacia. Dall'incalzante incipit al ritmo di Tusk dei Fleetwood Mac, gruppo che nell'episodio Walter Taffet sarà al centro di una scena mozzafiato scandita dalle note di The Chain, passando per brani di Phil Collins, Roxy Music, Cure, Peter Gabriel, Roberta Flack, Yazoo, Queen, David Bowie, Leonard Cohen, Devo, Rolling Stones e Bauhaus... fino ad arrivare, nell'epilogo della quinta stagione, ai R.E.M. e ad Elton John, con la celeberrima Goodbye Yellow Brick Road e i suoi versi intrisi di malinconia e di rimpianto.