Recensione Takeshis' (2005)

Risultato alquanto discutibile per un film a tratti brillante ma che lascia un senso di incompiutezza.

Takeshi & Takeshi

Film sorpresa della 62 Mostra del Cinema di Venezia, Takeshis' è un'opera controversa, difficile da classificare e, di conseguenza, anche da giudicare. Una non trama che ruota attorno ad un metaKitano che gioca con se stesso e col suo alter ego Beat Takeshi, una parodia dello star system e del mondo della tv giapponese in cui si innestano flashback improvvisi ed autocitazioni delle opere precedenti di Kitano. Il regista fa i conti con se stesso e con la propria fama, ma alla via del realismo di stampo autobiografico preferisce il libero accostamento di immagini subliminali che, coadiuvate da un montaggio rapidissimo, scardinano ogni ordine logico-temporale della vicenda, aprendo squarci soggettivi che culminano nel sogno e nell'allucinazione. In questo caos rutilante diventa quasi impossibile distinguere ciò che è vero da ciò che non lo è. La dimensione onirico-surreale di stampo felliniano viene ulteriormente accentuata, oltre che dai salti spazio-temporali che disorientano lo spettatore, dal ritorno ossessivo di situazioni e personaggi che appaiono nei momenti più disparati (lo yakuza che uccide tutti i nemici, il sogno della spaghetteria, il provino, i "300 chili", la donna che perseguita Kitano in ogni situazione) creando un universo divertente, ma scombussolato.

La commedia sembra proprio essere nelle corde di Kitano, che sceglie di ritornare alle origini, dopo aver acquisito una maggiore consapevolezza artistica e pronto a non lesinare in autoironia su se stesso e su ciò che è diventato: le scene più divertenti e curiose, infatti, sono proprio quelle legate al mestiere del Kitano star televisiva che appare all'inizio del film.
Tutto sommato Takeshis' mantiene, quasi fino alla fine, una certa brillantezza, nonostante ciò rimane un senso di incompiutezza, un'amarezza di fondo che permea la pellicola, oltre a numerosi quesiti che restano irrisolti. Il ritorno costante di personaggi-macchietta e situazioni assurde spinge lo spettatore a pensare che dietro tutto questo si nascondano precise simbologie e doppi sensi nascosti sotto la caotica superficie; Kitano nega la stratificazione di senso e avverte di non voler cercare a tutti costi il perché di ogni cosa, solo così si può godere appieno dello strano universo che lui ha creato. Ma qui non siamo dalle parti di Federico Fellini e Takeshis' non è Otto e mezzo. Il risultato è alquanto discutibile, la critica, anche quella da sempre filokitaniana, si strige nelle spalle ed è costretta ad ammettere il fallimento di questo progetto a cui Kitano lavorava da tempo. Alla fine di tutto, quella che manca è proprio un'idea forte di fondo alla base di tutta la struttura e non bastano a colmare questo vuoto né le originali trovate registiche né gli sprazzi di genialità che costellano qua e là la pellicola.

Movieplayer.it

3.0/5