Synonyms, la recensione: il dizionario della vita, tra Israele e Parigi

La recensione di Synonyms, il film di Nadav Lapid vincitore dell'Orso d'Oro al Festival di Berlino 2019.

Synonyms, i sinonimi, sono l'ossessione del giovane Yoav, protagonista del film premiato con l'Orso d'Oro al Festival di Berlino 2019. Arrivato a Parigi con l'intento di liberarsi il più possibile della propria identità israeliana, Yoav rinuncia quindi alla lingua ebraica e si procura un dizionario dei sinonimi per arricchire le proprie conoscenze del francese, che parla con fare quasi aulico. Circostanze buffe lo portano a fare amicizia con i quasi coetanei Emile e Caroline, creando una sorta di triangolo basato sulle aspirazioni artistiche e sulle frustrazioni della gioventù, a cui si aggiungono i complessi di Yoav che non riesce del tutto a separarsi dalle proprie radici geografiche e culturali.

Un film autobiografico, di cui ci accingiamo a parlare in questa recensione di Synonyms, per il regista israeliano Nadav Lapid, che per il suo film ha voluto un attore che ha vissuto esperienze simili alle sue.

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Synonyms: Tom Mercier e Louise Chevillotte in una scena del film

Israele-Francia, solo andata

Classe 1975, il regista Nadav Lapid è nato a Tel Aviv ma ha lasciato definitivamente il suo paese d'origine alla fine degli anni Ottanta, trasferendosi a Parigi. Ha poi criticato aspramente la patria nel suo primo lungometraggio, Policeman, presentato in concorso a Locarno nel 2011 e apripista di un percorso festivaliero europeo che lo ha poi portato a Cannes (L'Institutrice, 2014) e successivamente a Berlino. All'interno della kermesse teutonica ha evocato le sue prime esperienze da espatriato portandole sullo schermo in Synonyms, un racconto spudoratamente autobiografico: "Il sacrificio più duro fu la lingua", ha detto Lapid alla conferenza stampa berlinese. "Smisi di parlare in ebraico, e dovetti trovare parole nuove, così mi ritrovai a borbottare sinonimi sui marciapiedi di Parigi." Una situazione che ritroviamo sostanzialmente ripresa alla lettera (rigorosamente in francese) per tutta la durata del film, dove il giovane Yoav, alter ego del cineasta con le fattezze dell'esordiente Tom Mercier (anche lui con il medesimo background), si esprime con termini variegati per dimostrare la sua padronanza della lingua di Molière.

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Synonyms: Tom Mercier nel film

Un film in punta di lingua

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Synonyms: una scena del film

Synonyms è, da quel punto di vista, una pellicola francese quasi autoriflessiva, che costruisce il proprio percorso filosofico attorno alla componente linguistica, da sempre uno degli elementi di punta del cinema transalpino. Ma Lapid ne fa un gioco di contrasti, tra il silenzio e il dialogo: i primi minuti sono dedicati alle disavventure iniziali di Yoav in un appartamento parigino, nudo e senza parole, e nelle sue interazioni con Emile e Caroline c'è sempre una tensione fisica (ma non per forza sessuale), espressa a livello di sguardi, senza necessariamente ricorrere agli scambi verbali. Ma c'è anche tutta la componente dialogica, conversazionale, parzialmente messa alla berlina perché, come ricordano a Yoav i due amici, il suo è un francese letterario, artefatto, arcaico, vetusto, datato. Una lingua che non si sente più tanto neanche al cinema (i film francesi contemporanei sono spesso criticati per il lavoro sul sonoro o per la dizione di alcuni attori), una costruzione con cui il protagonista, aspirante eroe tragico, vuole crearsi una persona (nell'accezione latina di "maschera") basata sulla sua idea dell'essere francese. Un'idea che il film mette in discussione proprio tramite gli elementi tipici: la lingua, il sesso, l'arte (Emile è scrittore, Caroline musicista).

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Synonyms: Quentin Dolmaire, Tom Mercier e Louise Chevillotte in una scena del film

Allons enfants de la patrie...

Yoav è diviso tra due paesi, e così il film è diviso tra la parte relativamente leggera, basata sull'estro linguistico e sulle magnifiche prestazioni fisiche e verbali degli attori, e quella più impegnata, caotica, infuriata. È la parte in cui le convinzioni transalpine dell'immigrato vacillano, di fronte al test di naturalizzazione che diventa un concentrato di emozioni contrastanti sul paese d'origine e quello d'adozione, culminante in un pre-finale a tratti confuso e irrisolto che si discosta dall'eleganza tragicomica del resto della pellicola. Ma è una deviazione breve, che non distoglie dalla qualità sottilmente ipnotica di un viaggio coinvolgente, appassionante, stimolante, appagante, per le strade della gallica, transalpina città dei sogni. Sogni di fuga, di escapismo. In altre parole, di cinema.

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Synonyms: Tom Mercier in una scena del film

Movieplayer.it

3.5/5