Solo Roma è eterna. È la frase di Suburra 3, la stagione finale di Suburra - La serie, disponibile in streaming su Netflix dal 30 ottobre. È una di quelle frasi che sottintende qualcos'altro, una di quelle a cui ognuno può aggiungere il finale che crede. Guardando le nuove puntate, sei in tutto, di Suburra, dopo aver visto quelle della seconda stagione, il senso di questa frase appare chiaro: solo Roma è eterna, non lo sono gli uomini che la governano, o che pensano di governarla. Come già nella stagione 2, nella terza stagione di Suburra ci sono personaggi chiave che muoiono, o che vengono sconfitti e lasciano la scena, il potere si guadagna e si perde. E Roma sembra stare lì, immobile e stentorea come il Colosseo, il simbolo della città, che finalmente in questa stagione si staglia imponente sulle vite dei personaggi. Quello che appare chiaro, arrivati a questo punto del racconto, è che Suburra - La serie non è un vero prequel del film, nel senso che, a differenza di altri prodotti definiti in questo modo, non deve necessariamente arrivare al punto preciso in cui abbiamo trovato i personaggi nel film di Stefano Sollima. Si è scelto, insomma, di creare un'opera indipendente, un universo a sé.
"Fin dall'inizio, quando Netflix ci ha chiamato per chiederci di trarre una serie dal film, l'idea era spostarsi a 180 gradi dal racconto e dall'anima del film" spiega Gina Giardini, produttrice per Cattleya. "Il film è stato sviluppato in maniera precisa: gli eventi erano in primissimo piano e tutti i personaggi erano al servizio di questa scadenza cupa, dell'Apocalisse. Qui abbiamo ribaltato tutto: abbiamo voluto che i personaggi fossero in primo piano e che dessero vita agli eventi. In comune c'era il tema centrale, che Roma Chiesa, Stato e mondo criminale sono insieme per governare. La serie era pensata per tre stagioni e il finale è quello che avevamo in mente dall'inizio".
Gli sceneggiatori: gestire i personaggi è come una sala da gioco
Abituati forse inconsciamente all'idea che i personaggi arrivassero al punto in cui sono nel film, si resta insomma spiazzati di fronte alla fine che fanno alcuni di loro. Abbiamo chiesto allora agli sceneggiatori quanto è difficile decidere di rinunciare a un personaggio: si guadagna a livello di colpi di scena, ma forse si perde qualcosa in fatto di carisma e di evoluzione di qualche carattere. Come si gestisce tutto questo? "Si gestisce come in una sala da gioco, giocando al rialzo" ci risponde Fabrizio Bettelli. "Esce una carta e tu punti il tuo capitale di fantasia e investimento narrativo su un personaggio che carichi di aspettative e speri che possa sbancare. A volte riesce, a volte no. Nel nostro caso, essendo arrivati alla terza stagione, devo dire che giocare sul tavolo con tante carte è stato vincente". "Prendere decisioni sulla vita o la morte di un personaggio non dipende da noi" aggiunge Ezio Abbate. "Dipende dal fatto che prendono talmente vita propria che poi sono loro stessi a decidere. I personaggi che sono morti sono personaggi che ci hanno suggerito questa scelta".
Recensione Suburra 2 - La serie su Netflix: sempre più dentro il Lato Oscuro
Alessandro Borghi e Giacomo Ferrara: un'alchimia particolare
I due personaggi chiave, come avrete notato dalla locandina della stagione finale di Suburra, sono Aureliano Adami (Alessandro Borghi) e Spadino (Giacomo Ferrara). Com'è naturale, li troviamo cambiati rispetto all'inizio della serie. "Il personaggio di Aureliano è iniziato con il film, siamo dovuti andare indietro per poi andare avanti. Non è stato semplice" ragiona Alessandro Borghi. "Si dice che se non ci credi tu non ci credono gli altri: nella prima stagione dovevo sembrare più giovane. Aureliano e Spadino erano dei personaggi che dovevano trovare il loro spazio, anche all'interno delle loro famiglie, poi hanno trovato il potere e ora devono gestirlo. Se penso al ragazzo biondo della prima stagione che litigava con il padre e cercava il potere, ora è molto diverso: arriviamo a un personaggio che il potere ce l'ha e deve farci i conti". La stessa cosa accade a Spadino, la cui sfida per conservare il potere sarà ancora più dura, visto che il fratello, Manfredi Anacleti (Adamo Dionisi), si è risvegliato dal coma e non ha intenzione di rimanere in disparte. Ma dalla sua parte ha Aureliano. "Ricordo la prima volta che ho conosciuto Alessandro, al provino per il film Suburra" racconta Ferrara. "C'è stata subito un'alchimia particolare che si è confermata sul set: vedendo le scene tra me e lui ho pensato che avevamo creato due personaggi che si vogliono bene, che si amano follemente - più Spadino che Aureliano - e quando sono in scena questa cosa si vede, è reale, palpabile". "C'è un grande merito editoriale" aggiunge Borghi. "Quando ci hanno detto che avevano pensato che il personaggio di Spadino sarebbe potuto essere omosessuale, siamo rimasti stupiti. Si sono presi il rischio di fare una cosa che non era ancora stata fatta: è stato un atto di coraggio, la possibilità di uscire dagli schemi ti dà la possibilità di raccoglierne i frutti. La terza stagione, per come intendo io l'amicizia, è una storia d'amore. Spadino e Aureliano diventano dipendenti l'uno dall'altra ed è una delle trame più interessanti della terza stagione".
Carlotta Antonelli e Federica Sabatini: non è un mondo di soli uomini
Ma c'è un'altra coppia che sale alla ribalta nella terza stagione di Suburra. È quella delle compagne di Aureliano e Spadino, Angelica (Carlotta Antonelli) e Nadia (Federica Sabatini), due donne che trovano il loro posto in un mondo di soli uomini, in maniera piuttosto sorprendente. "Il rapporto che hanno Nadia e Angelica è molto particolare, molto interessante per come inizia e come finisce" riflette Carlotta Antonelli. "Sono personaggi che sono partiti agli antipodi e hanno trovato qualcosa in comune che li ha portati a cambiare il loro rapporto" spiega Federica Sabatini. "Ma il potere è la loro necessità di autodeterminarsi in un sistema che non contempla un posto per loro". C'è chi, conclusa l'esperienza di Suburra, pensa che uno spin-off su Angelica e Nadia potrebbe essere un modo interessante per continuare il racconto di questo mondo. "La presenza delle ragazze è stata sorprendente, perché essendo una serie molto maschile, il loro ingresso ha rappresentato un crash notevole" ha spiegato Fabrizio Bettelli. "Ci ha stupito come la terza stagione ha rappresentato una coppia, coprotagonista, con valori narrativi molto interessanti, e un eventuale investimento sulle due ragazze sarebbe una sfida stimolante". Ma c'è un'altra donna, Alice (Rosa Diletta Rossi), la moglie del politico Amedeo Cinaglia, che troverà il proprio posto nel mondo dovendo passare per scelte difficili. "Ho iniziato il percorso con questo personaggio che era l'ambiente familiare di Cinaglia, fino a questa stagione in cui Alice è un personaggio che cerca la sua dimensione interiore, autonoma, rispetto alle scelte che fa il marito" commenta Rosa Diletta Rossi. "Il punto nevralgico, il cambio di direzione avviene nel momento in cui si sente in pericolo, ma non per se stessa quanto per i propri figli: le sue scelte personali cavalcano un'onda terribilmente pericolosa che la sua mi è sembrata davvero l'unica direzione possibile".
Italia criminale: da Gomorra a Suburra, ritratto di un paese sull'orlo del baratro
Filippo Nigro e Francesco Acquaroli: il male
Uno dei grandi protagonisti della terza stagione, lo avrete capito, è proprio quell'Amedeo Cinaglia (Filippo Nigro) che nella prima stagione era il politico integerrimo e incorruttibile e ora è sempre più trascinato in una discesa agli inferi. "Ho imparato che avere potere è qualcosa di pericoloso" commenta Filippo Nigro. "È qualcosa che piace al pubblico perché, senza doverti confrontare in modo diretto, vedi il cambiamento di un personaggio e quello che accade quando ti trovi a gestire soldi e potere. Cinaglia si trova in quel mondo di mezzo, è il raccordo tra il sopra e il sotto, e mi fa effetto: è il personaggio che non ha resistito alla tentazione, è quello che si è lasciato tentare". Cinaglia è forse il personaggio che ha avuto l'evoluzione più interessante nell'arco delle tre stagioni. "È stata una botta di fortuna" commenta Nigro. "Di solito si interpretano personaggi già cattivi, o già buoni, comunque definiti. Qui c'era la possibilità di partire in un modo e finire in un altro. Quest'uomo ha una partenza e un arrivo che va molto lontano rispetto a quello che si potesse immaginare. Sono grato agli sceneggiatori per aver scritto questo personaggio. Nelle prime stesure era già corrotto e di un'altra parte politica. Invece lo abbiamo cambiato con i dettagli, le scarpe consumate, l'autobus. La gente gli ha fatto caso, i dettagli sono rimasti impressi". "Il male ha sempre esercitato un grande fascino sul pubblico" aggiunge Francesco Acquaroli, che in Suburra è Samurai. "Di tutte le opere di Shakespeare la più amata è forse il Riccardo III. In piccole dosi la cattiveria ce l'abbiamo tutti, vederla esercitata senza conseguenze è utile. I grandi cattivi hanno un valore liberatorio per le nostre cattiverie. Per me che lo interpreto lo è molto, quando torno a casa sono buonissimo".
Arnaldo Catinari: ognuno è solo con se stesso e il tempo sta per finire
La regia di queste sei puntate è di Arnaldo Catinari, che è stato il direttore della fotografia nelle prime due stagioni, e qui imprime un ritmo ancora più veloce e concitato agli eventi. "L'ultima stagione ha una grande fortuna, innanzitutto ha un epilogo e sintetizzare il tempo era quello che ci chiedeva l'epilogo" ci spiega. "Dovevamo sintetizzare il tempo perché fosse ineluttabile: ognuno è solo con se stesso davanti a un tempo che sta per finire, ognuno non può sfuggire al suo destino". Con la sua regia Roma diventa ancora più protagonista, ed entrano in scena luoghi iconici, come il Colosseo. "Ogni volta che fotografiamo un esterno per noi deve diventare un luogo iconico non rispetto alla città ma al racconto" ci risponde. "La proporzione tra il racconto del centro storico e quello delle periferie mi sembra calibrata. C'è un luogo iconico, il Kursaal di Ostia, e non ci siamo vergognati di fare vedere anche il Colosseo. È un simbolo importante, ma quell'immagine è sempre usata a livello narrativo. Tutto quello che abbiamo fatto è sempre legato a un racconto. Per me lavorare con la macchina da presa è raccontare. Ti devi mettere al servizio della storia. Non ho mai cercato la bella immagine ma un'immagine che raccontasse, e l'uso della luce è sempre stato narrativo. Non mi piace quando si dice: bella la fotografia. Ma cosa vuol dire? A cosa serve?"