Stop Making Sense, recensione: il film concerto dei Taking Heads? Elettrizzante, seducente, libero

A quarant'anni dall'uscita torna in sala la leggendaria performance della band capitanata da David Byrne e diretta da Jonathan Demme. Un flusso ininterrotto di musica che ipnotizza e cattura. In sala l'11, 12 e 13 novembre.

Un'immagine del film concerto Stop Making Sense

Un registratore portatile, una chitarra acustica e il dettaglio della macchina da presa che segue i piedi di David Byrne mentre sale sul palco. Sono i primissimi minuti di Spot Making Sense, il leggendario film concerto dei Talking Heads diretto nel 1984 da Jonathan Demme. A quarant'anni dall'uscita, l'esibizione arriva in sala in Italia grazie alla collaborazione tra Nexo Studios e A24 l'11, 12 e 13 novembre in 4K e audio Dolby Atmos 7.1 con il progetto Stop Making Sense. 40 Anniversary Experience dopo il passaggio alla Festa del Cinema di Roma.

Un flusso ininterrotto di musica

Stop Making Sense
David Byrne sul palco

La nuova edizione del film supervisionata da James Mockoski con la colonna sonora rimasterizzata da Jerry Harrison, tastierista e chitarrista della band, parte dalle note di Psycho Killer per proseguire poi con brani come Burning Down the House, Girlfriend Is Better, Once in a Lifetime e Take Me to the River. Registrato nel corso di tre serate al Pantahes Theater di Hollywood durante il tour di Speaking in Toungues, il film concerto è pura dinamite. Un flusso ininterrotto di musica che ipnotizza e cattura. Merito dell'incredibile presenza scenica di David Byrne, pifferaio magico che ci costringe a seguirlo senza mai staccargli gli occhi di dosso per poco meno di un'ora e mezza.

Stop Making Sense Sequenza
Un momento del concerto

Ma anche di alcune scelte, totalmente inedite per l'epoca, che ancora oggi lo rendono innovativo. Da quella di riprendere il pubblico con parsimonia proprio per non interrompere la dimensione della performance all'uso di colori neutri e l'assenza di oggetti che potessero distrarre fino al montaggio fatto di inquadrature tutt'altro che frenetiche. Spot Making Sense aveva l'ambizione di essere altro, di diventare uno spartiacque, un modello da guardare per trarre ispirazione. Quell'ambizione ha ripagato nella misura in cui, a distanza di anni, ne parliamo ancora con lo stesso entusiasmo.

Elettrizzante, seducente, totalmente libero

Stop Making Sense Foto
Jerry Harrison alle chitarre

Un crescendo che si materializza sotto i nostri occhi man mano che, brano dopo brano, fanno il loro ingresso sul palco i musicisti al fianco di Byrne: Tina Weymouth, Chris Frantz, Jerry Harrison e gli altri. Fino a quando il leader dei Talking Heads non esce di scena per tornare con il celebre "Big Suit", un completo da uomo d'affari incredibilmente largo che Byrne scelse per omaggiare il teatro Noh scoperto durante un tour in Giappone. Elettrizzante, seducente, totalmente libero nella sua forza trascinante, Stop Making Sense è il film concerto più bello che vedrete quest'anno. Se non fosse solo che ha quarant'anni.

Conclusioni

Un classico per il suo genere, il film concerto diretto da Jonathan Demme non ha perso una briciola della sua potenza e innovazione a quarant'anni dall'uscita. Poco meno di un'ora e mezza in cui un ipnotico David Byrne fa il suo ingresso sulle note di Psycho Killer per poi accogliere i restanti membri dei Talking Heads sul palco. Una performance elettrizzante, seducente, totalmente libera nella sua forza trascinante.

Movieplayer.it
4.0/5
Voto medio
3.9/5

Perché ci piace

  • L'incredibile presenza scenica di David Byrne.
  • La regia di Jonathan Demme attenta a mantenere intatta la fluidità della performance
  • L'attitudine ipnotica dell'intero concerto

Cosa non va

  • Chi non ama i Talking Heads potrebbe non subire il fascino del film concerto.