Nel ricco carnet di film della sezione Fuori Concorso del Festival di Venezia spicca scuramente il nuovo lavoro di Steven Soderbergh, Contagion, che il regista americano ha presentato questa mattina assieme a Gwyneth Paltrow, Matt Damon, Laurence Fishburne e Jennifer Ehle, punte di diamante di un ricchissimo cast internazionale che comprende anche Kate Winslet, Marion Cotillard e Jude Law, tutti impegnati a vario titolo per salvare l'umanità da una minuscola ma terribile minaccia. Il thriller, in uscita italiana il prossimo 9 settembre, racconta infatti della corsa contro il tempo di un team di medici internazionali impegnati ad arginare l'epidemia di un pericolosissimo virus, originatosi in Cina, trasmesso dai pipistrelli ai maiali, che si diffonde a velocità stratosferica attraverso l'aria e i contatti umani. La situazione di estremo pericolo in cui versa il mondo intero diventa così l'occasione per una spettacolare disamina dei meccanismi che si nascondono dietro alle emergenze sanitarie. Si parla del peso specifico delle case farmaceutiche nella produzione dei vaccini, del potere dei nuovi media, i blog, diventati dei mezzi di controinformazione che in questo caso speculano sull'accaduto, come dimostra l'ambiguo personaggio interpretato da Jude Law. Infine, ma non per importanza, si pone l'accento sulla violenza e il panico che dilagano a macchia d'olio tra le persone, quasi fossero essi stessi dei virus, trasformando dei cittadini modello in potenziali criminali. Tutto in nome della propria salvezza. Intenso come i migliori film catastrofici degli anni '70, il lavoro di Soderbergh sfrutta a meraviglia le ottime interpretazioni di un cast davvero in forma smagliante, supportato dall'efficace sceneggiatura di Scott Z. Burns, anch'egli presente in Sala Stampa.
Signor Soderbergh, il cinema ha sempre dedicato molto spazio alla rappresentazione delle epidemie, ma i film che siamo stati abituati a vedere non avevano il realismo del suo Contagion. E' stata una scelta stilistica voluta?
Steven Soderbergh: Questo in realtà è il frutto di una lunga discussione con Scott. Quando mi propose l'idea del film avevamo entrambi la sensazione che dovesse essere il più realistico possibile, soprattutto nella parte medica. Tutto doveva essere plausibile e accurato altrimenti non avremmo potuto dare il nostro contributo a questo genere così particolare. Anzi, per dirla tutta mi sono ispirato ad un film di culto come Tutti gli uomini del presidente. Volevo che il risultato finale avesse uno stile pulito e diretto, per arrivare al giusto grado di realismo.
Steven Soderbergh: Affatto. Quello che mi ha affascinato del film era in realtà l'assoluta mancanza di metafore, il virus è solo il virus. La sfida era proprio quella di scrivere un'opera in cui il protagonista, il virus appunto, non parlasse, ma tutti parlassero di lui. E poi l'ambientazione cinese è stata un'idea di Scott...
Scott Z. Burns: E sono semplicemente stato ispirato dal fatto che in quelle zone geografiche è facile trovare dei mercati in cui si vendono e comprano animali vivi, quindi è molto più facile che un'epidemia possa partire e diffondersi da lì. E questo ci è stato confermato da un ricercatore della Columbia University che ha partecipato agli studi sulla Sars.
Una domanda per Gwyneth Paltrow, nel film veste i panni di una donna che, prima di essere colpita dal virus letale, vive un'esistenza apparentemente serena, con marito e figli. In realtà su di lei pesa una scappatella extraconiugale...ha mai pensato che la sua morte potesse essere una sorta di punizione per il tradimento effettuato?
Gwyneth Paltrow: Beh, se così fosse credo che nessuno in questa sala rimarrebbe in vita, considerato che siamo anche in Italia (ride). La verità è che tutti siamo fallibili e la mia Beth si trova solo nel posto sbagliato al momento sbagliato. Non la giudico affatto per la sua scelta, è una donna molto umana.
Farebbe vedere questo film ai suoi figli?
Gwyneth Paltrow: Non gli ho fatto neanche vedere Babe, maialino coraggioso. Quindi, direi proprio di no.
Gwyneth Paltrow: Non possiamo paragonare le due situazioni. Quando si è colpiti da una cataclisma naturale tutto finisce purtroppo nel momento in cui avviene la catastrofe e aiutare il prossimo non è pericoloso. Nel caso di un'epidemia sai benissimo che dare una mano può invece causarti dei danni. In certi frangenti non si può essere eroici. Naturalmente lo spirito umano ci spinge sempre ad andare in soccorso di un uomo o una donna in difficoltà, ma quando a rischio è la propria sopravvivenza le circostanze sono diverse.
Considerato che lo sviluppo frenetico della storia non ha quasi permesso una sorta di introspezione psicologica, è stato molto difficile lavorare a vostri rispettivi ruoli?
Gwyneth Paltrow: In realtà mi sono molto divertita, sono arrivata in Cina, in una città in cui non ero mai stata ed è stata un'ottima esperienza. Soprattutto mi è piaciuto avere l'alka-seltzer in bocca e cadere per terra mezza morta.
Matt Damon: Non ci sono mai parti difficili quando sei in un film di Steven (ride) ecco perché ho girato sei film con lui. Se proprio devo scegliere il ciak che mi ha causato qualche problema in più, scelgo sicuramente quello in cui il medico mi comunica la morte di mia moglie. Non sapevo ancora quali fossero i personaggi in campo e soprattutto non avevo idea di che tipo di scena recitare. Mi sono chiesto, 'Faccio la scena madre con l'uomo disperato che sbatte la testa al muro?' E allora abbiamo inventato qualcosa di diverso, ne ho parlato con Scott e ha scritto di nuovo la scena. Ecco perché mi piace lavorare con Steven e Scott, perché risolvere questi problemi in una maniera molto onesta.
Jennifer Ehle: Il mio personaggio non ha proprio tempo per riflettere, ma grazie alla sceneggiatura di Scott i personaggi vengono conosciuti attraverso le scelte che fanno.
Laurence Fishburne: Tutti i caratteri erano già sviluppati molto bene sulla sceneggiatura, Scott aveva già fatto un ottimo lavoro. Il mio ruolo ha in più una sorta di responsabilità etica. Ha il compito di capire cosa stia succedendo e inviare le persone giuste per trovare la soluzione. E' lui che decide quanta informazione fornire al pubblico, affinché si protegga senza entrare nel panico.
Steven Soderbergh: Abbiamo pensato che fosse importante inserire nel film una specie di controcanto, una persona che si facesse portavoce di teorie alternative sulla cura e sulle sue orgini...
Scott Z. Burns: In presenza di situazioni critiche come quella che abbiamo rappresentato nel film è automatico confrontarsi con la cattiva informazione, che poi fa sempre riferimento alle cospirazioni, ma il personaggio di Jude Law non è un cinico. Crede in quello che crede. Crede a torto di essere ammalato e di aver trovato il rimedio giusto per la sua patologia. Non sempre ha ragione, ma non tutte le sue posizioni sono sbagliate o disprezzabili. Insomma, è ambiguo ma interessante.
Il film ha cambiato il modo di percepire i rapporti con le persone? Avete paura del contatto fisico?
Steven Soderbergh: Sapevo da quando avevo cominciato a lavorare al film che ci avrei pensato molto a questa cosa e non smetti più di lavarti le mani. Eppure sono abbastanza tranquillo. A Venezia ho stretto molte mani e ho anche viaggiato in aereo che è il posto peggiore se hai il timore di un'epidemia...
Laurence Fishburne: Io invece mi lavo le mani esattamente come prima.
Soderbergh come fa a convincere ogni volta le star più acclamate del momento a lavorare per lei...
Steven Soderbergh: Quando lo script è buono si convincono subito. La fortuna è stata avere un materiale eccellente come quello che mi ha fornito Scott, ha reso il mio compito molto più semplice. Per me è importante riuscire a lavorare con artisti con cui il pubblico riesca ad identificarsi.
E' vero che vuole lasciare il cinema?
Steven Soderbergh: No, non lascio il cinema, ho in cantiere ancora tre film, poi però mi prendo una pausa, un anno sabbatico, ma è una scelta meno traumatica di quello che possa sembrare. Ho solo bisogno di riposarmi un po'.
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