Coproduzione italo-argentina sostenuta da Sky Cinema, Complici del silenzio, diretto dal regista napoletano Stefano Incerti e interpretato da un sincerato Alessio Boni e dalla bella esordiente Florencia Raggi, è un film che ricorda il cinema impegnato di Francesco Rosi e di Elio Petri, per la tematica, affrontata con coraggio encomiabile, e per la sicurezza e la sobrietà che da sempre contraddistinguono lo stile narrativo e di mise en scène di Incerti. Partito come un film low budget, la storia agli argini della realtà argentina, e italiana, della fine degli anni '70 risponde al bisogno di verità che i film più recenti come Fortapàsc pongono davanti all'occhio mai ingenuo dello spettatore che non cerca nel grande schermo il mero intrattenimento. Un film realizzato come una riflessione su una realtà su cui la politica e i media hanno scelto di tacere, come cronaca di un passato lacerato e lacerante che riemerge dalle immagini filmiche, crude e spesso impregnate di una sconvolgente durezza, simulacri di una volontà forte di testimonianza e di una determinazione emozionale.
Stefano Incerti, quali sono state le motivazioni personali che l'hanno spinta a realizzare questo film?
Stefano Incerti: Come per L'uomo di vetro volevo raccontare una storia un po' popolare, ma qui c'è una differenza. La novità è nel raccontare lo straordinario corto circuito tra la goliardia per il calcio e i mondiali del '78 e l'atrocità delle sevizie del regime, che avvenivano a poca distanza. Quando si fa un film così, certo non è casuale. Ci sono almeno due motivi: ho cercato di fare questo film pensando a un pubblico di giovani che non sanno nulla della guerra civile argentina. Gli stessi argentini hanno coperto di sabbia quello che è successo per evitare nuove rivolte e gli argentini stessi non sanno cosa è successo! L'altro motivo è che credo che una vicenda così dolorosa non debba essere chiusa se non con un momento di speranza per il futuro. L'Argentina era un Paese democratico, un Paese civile, assolutamente europeo. Bisogna dire che non ci vuole tanto perché succeda qualcosa del genere.
La vicenda drammatica dei desaparecidos argentini, vittime del regime militare, e il calvario dei loro familiari, in particolare delle madri di Plaza de Mayo alla ricerca di volti le cui identità erano state cancellate o sepolte, è stata oggetto di molto cinema. In cosa il suo film si differenzia dai film del passato?
Stefano Incerti: Ci sono stati bellissimi film su quel periodo storico, io volevo fare un film in un certo senso popolare, un film che potesse coinvolgere lo spettatore e che potesse essere sentito dal pubblico. L'abbiamo girato e montato con un certo ritmo che portasse a un finale a sorpresa. Volevo fare un film che avesse una presa sullo spettatore molto forte perché credo che solo così si possa far leva su chi lo guarda. Il pubblico oggi è un po' distratto e credo si debba andargli incontro. Spesso mi citano Rosi, che è indubbiamente un maestro del genere, ma io invece cerco di spettacolarizzare le storie, di renderle affascinanti.
Ha avuto difficoltà nel girare le scene in Argentina?
Stefano Incerti: Mentre per il finale abbiano girato la scena nell'aeroporto civile, le altre scene le abbiamo girate in quello militare e abbiamo dovuto aspettare tre mesi per le autorizzazioni. Ricordo che ho raggiunto quello che è chiamato "il muro della speranza" a bordo di un taxi e il tassista mi ha detto che chiamarlo così era un errore perché quelli che sono stati uccisi erano, secondo lui, anarchici e meritavano quella morte. Non hanno fatto piazza pulita di quell'orrore. Nessuno all'epoca ha fatto qualcosa per rendere la cronaca della situazione e nessuno ancora oggi fa niente per far capire che non debba più succedere. Quello che mi ha colpito del posto è stato poi notare come le madri e le nonne di Plaza de Mayo non abbiano, a dispetto di quello che qualcuno possa pensare, assolutamente nulla di turistico, al contrario sono delle donne durissime.
Il protagonista Maurizio Gallo arriva in Argentina senza nessuna coscienza, ma poi prende consapevolezza e la realtà lo travolge. Com'è stata per Alessio Boni quest'esperienza?
Alessio Boni: A differenza del regista, che si è documentato sulla vicenda e ha fatto un lavoro enorme come una caterpillar, e di Florencia Raggi, che invece aveva una voce quasi diretta della storia, io ho interpretato un giornalista sportivo un po' frivolo la cui unica preoccupazione all'inizio è stata non aver subito trovato la fidanzata a telefono, che ha pensato solo al campionato. Non volevo sapere più di tanto perché credo che la macchina da presa riesca ad avvertire l'occhio quando lo riprende e io volevo che avvertisse uno sguardo che non sa e si emoziona, uno sguardo vergine. La professionalità attoriale del cast, di cui fa parte Giuseppe Battiston, mi ha trascinato piano piano fin nei posti in cui sono avvenute le mattanze. Una parte di quell'atmosfera è penetrata dentro di me senza che io me ne rendessi conto. E' stato come entrare in un grande teatro che sai che è stato calcato da grandi attori e lo avverti. Così non ho fatto ricerche se non alla fine per un'esperienza personale: volevo lasciarmi plasmare dall'idea, ben precisa, che aveva in mente il regista. In questo Stefano Incerti è stato bravissimo: nel tenere bene a mente il sapore, la grana, la prossemica, la durezza e la gioia precisi del '78.
Cos'è per l'attrice Florencia Raggi, argentina di origine ligure, l'Argentina di quegli anni? Che memoria di questo passato si è diffusa nel suo Paese?
Florencia Raggi: Io ero molto piccola in quegli anni. Ricordo che quello fu un momento di grande unione e partecipazione legato ai mondiali di calcio. Nella mia famiglia come in molte altre famiglie non si parlava di quello che stava succedendo.
E com'è la situazione attuale in Argentina?
Florencia Raggi: Fortunatamente oggi c'è un governo che si occupa dei diritti umani e anche di quello che è successo con la guerra civile. Quello che è avvenuto non è caduto nel dimenticatoio e la discussione continua.
Alla conferenza stampa interviene il giornalista Italo Moretti, a lungo impegnato nella narrazione dei fatti dell'America del sud, per esprimere la sua opinione sulla rappresentazione filmica di una vicenda storica a lui molto cara.
Italo Moretti: Da spettatore voglio dichiarare il mio compiacimento per l'opera dal punto di vista drammaturgico. Trovo che, seppure a distanza di trent'anni, si recuperi quest'evento e già il titolo del film rievoca le tantissime differenze tra lo Stato argentino e quello italiano che all'epoca erano legati da mere ragioni economiche e dagli interessi politici. La scena dell'incontro della stampa con l'ambasciatore italiano, che non sarebbe potuta avvenire realmente all'epoca, descrive per esempio la cecità e la sordità dello Stato italiano di allora. Il film mostra anche l'edificio della Esma, il cui capo Emilio Massera non a caso sarà processato in questi giorni, che fu adibito a luogo di torture, di prigionia e di sterminio.
Chiediamo al regista se il film uscirà anche in Argentina.
Stefano Incerti: Il film uscirà in Italia in 50 copie in collaborazione col circuito cinema nelle principali città italiane anche se in realtà non è stata prevista nessuna distribuzione strategica per il momento. Il nostro film sicuramente ha uno sguardo diverso da quelli prodotti in Argentina. Per esempio, nella scena della chiesa molta parte della troupe e del cast mi ha aiutato nella messinscena, che ho realizzato pensando ai nazisti in Italia. Probabilmente, come due attori sul set mi hanno confessato, quella stessa scena un regista argentino non l'avrebbe realizzato con altrettanto distacco. Il film comunque uscirà anche in Argentina, sempre in un ambito difficile perché lì ancora non hanno fatto i conti con quella realtà.
A proposito della complicità del silenzio dei media, io provo a fare film meno addomesticati possibile tanto che (il regista ironizza), mi vedete ogni 3-4 anni. Ecco credo che dopo questo film, per la prossima volta dovrete aspettare ancora di più! Il fatto è che ognuno quando prova a trattare una vicenda dolorosa come questa tende a dare un suo apporto e io ho fatto altrettanto.