Recensione The Double (2011)

L'esordio dietro la macchina da presa dello sceneggiatore Michael Brandt è un film spionistico dall'impianto tradizionale che sfrutta alcuni archetipi del genere (in particolare il tema della doppia identità) senza però riuscire a dosare in maniera convincente suspense e colpi di scena improvvisi.

Spy vs. Spy

Aveva già capito tutto Alfred Hitchcock quando illustrava a François Truffaut i due meccanismi alla base del genere thriller, vale a dire gli effetti complementari di sorpresa e di suspense, ormai codificati nei manuali di sceneggiatura, citando come esempi esplicativi rispettivamente lo scoppio improvviso e non annunciato di una bomba in opposizione all'ansiogena attesa dell'esplosione della bomba da parte del pubblico. "La conclusione di tutto questo" - affermava già nel 1962 il maestro "è_ che bisogna informare il pubblico ogni volta che è possibile, tranne quando la sorpresa è un twist, cioè quando una conclusione imprevista costituisce il sale dell'aneddoto_". Un teorema, quello hitchcockiano, che pare ancora oggi essere un punto di riferimento per gli script hollywoodiani. Lo dimostra anche The Double, film spionistico dall'impianto tradizionale che sfrutta alcuni archetipi del genere (doppia identità, controspionaggio, complotti internazionali all'ombra della Guerra Fredda), con il quale Michael Brandt - già sceneggiatore di action movie come 2 Fast 2 Furious, Quel treno per Yuma e Wanted - esordisce dietro la macchina da presa. Non basta, tuttavia, seguire il semplice schema del maestro del giallo per dare vita a uno script avvincente e credibile. È necessario imparare a dosare con maestria suspense opprimente e colpi di scena improvvisi, in modo da tenere continuamente desta l'attenzione dello spettatore e da calibrare la tensione narrativa. Ed è proprio sotto questo aspetto che il primo tentativo da regista di Brandt non può dirsi del tutto riuscito.


L'intreccio (elaborato dallo stesso Brandt, come al solito in coppia con il collega Derek Haas) parte da uno schema abbastanza collaudato, ovvero quello del buddy movie con protagonista la classica coppia eterogenea e complementare di agenti: la giovane recluta dell'FBI Ben Geary (Topher Grace) e il veterano Paul Shepherdson (Richard Gere). Quest'ultimo è richiamato in servizio dal direttore della CIA Tom Highland (Martin Sheen) perché un senatore è stato assassinato con le stesse modalità brutali che in passato utilizzava un killer sovietico, soprannominato Cassius, cui Shepherdson aveva dato la caccia durante la Guerra fredda. Gli autori del copione decidono però di giocarsi subito la loro carta principale, rivelando allo spettatore più o meno dopo il primo quarto d'ora del film la vera identità di Cassius. È a questo punto che dovrebbe scattare il collaudato meccanismo della suspense, innescando nel pubblico la curiosità di scoprire quando gli altri personaggi riusciranno a individuare il criminale russo. Michael Brandt però non riesce a concretizzare appieno il suo intento perché la tensione narrativa non è sostenuta da un adeguato ritmo nella messa in scena e nel montaggio. Il coinvolgimento nei confronti della storia è inoltre frenato da una serie di incongruenze e di inverosimiglianze della sceneggiatura, e soprattutto dal continuo ripetersi di nuovi colpi di scena (se ne contano almeno quattro o cinque) che risultano progressivamente più incredibili, fino a un twist finale decisamente poco convincente.

Altro punto a sfavore di The Double risiede nella scelta di due attori protagonisti poco calati nei rispettivi ruoli. Richard Gere, di certo più a suo agio nei contesti della commedia e del film sentimentale, risulta piuttosto spaesato in questa inedita veste di action man. Stessa cosa può dirsi del compagno Topher Grace (ex star della serie That '70s Show) che, nonostante la partecipazione a titoli come Spider-Man 3 e Predators, continua a dare il meglio di sé nella commedia.
Nonostante qualche sequenza d'azione azzeccata (la fuga di prigione di un ex complice di Cassius, l'inseguimento automobilistico verso il finale) il primo film da regista di Michael Brandt non presenta dunque particolari motivi di interesse o d'innovazione nell'elaborare un tema ormai consolidato come quello dello scambio d'identità nel genere spionistico. Anzi, finisce per risultare un po' la brutta copia di classici del filone, come lascia rivelare (involontariamente) una scena del film nella quale Richard Gere chiede che gli venga preparato un vodka Martini con l'aggiunta di una cipollina (sic!) anziché della tradizionale oliva. Una caduta di stile - questa sì - che Hitch non avrebbe mai perdonato...