Ai piedi delle luci perenni di Tim Square, tra la 45th che interseca Broadway, potete trovare un gruppo di bizzarri e raffazzonati cosplayer che attirano i turisti per i selfie di turno, in cambio di un dollaro. Ci sono sempre, giorno e notte. Sono travestiti da personaggi famosi, spesso personaggi di fantasia: Topolino, Super Mario, Olaf di Frozen. E poi gli immancabili supereroi. Oltre Batman e Superman, non mancano quelli Marvel: Iron Man, Hulk, Capitan America. E Spider-Man. Ecco, "l'amichevole supereroe di quartiere", tra i turisti, è il più richiesto. C'è la fila, addirittura. Il punto, è che Spider-Man non è propriamente un personaggio di fantasia nel contesto newyorkese. Che vuol dire? Che L'Uomo Ragno alias Peter Parker, inventato da Stan Lee e Steve Ditko nel 1962, è effettivamente una presenza reale, nei cinque distretti di New York City. Non è solo una questione di immaginazione, ma di sostanza.
Girando per Midtown, e arrivando poi fino a Brooklyn e nel Queens, si ha come l'impressione che sopra la nostra testa, tra un grattacielo ed un altro, volteggi un ragazzino minuto con un'attillata tuta rossa e blu (o nera e rossa...). Sarà che amiamo così tanto la cultura pop, che la silhouette di Spidey accompagna la coda del nostro occhio, perdendosi nel bel mezzo di un meraviglioso crogiolo che sembra avere una vita propria: il traffico, il vociare, l'odore dei tacos, le sirene dei pompieri. Un blocco sensoriale, appiccicato al concetto stesso di New York. Insomma, Spider-Man, per la città più bella del mondo, è un punto di riferimento. C'è, anche se non c'è. Perché, come spesso si dice, "A New York nulla è impossibile". E lo si dice anche in Spider-Man: Across the Spider-Verse, quando nel Guggenheim si introduce un Avvoltoio proveniente dal Rinascimento, facendoci sorridere e riflettere sul concetto odierno di arte (e la scelta Guggenheim non è un caso).
Bienvenidos a Nueva York!
Anche se gli universi si incrociano, nel sequel scritto e prodotto da Phil Lord e Christopher Miller, New York resta sempre e comunque il personaggio chiave, imprescindibile e coeso con l'idea che struttura il personaggio dell'Uomo Ragno, ma che struttura anche il suo correlato corollario di co-protagonisti e antagonisti. Come Gwen Stacy, che in Spider-Man: Across the Spider-Verse, occupa un posto di assoluto rilievo, in parallelo a Miles Morales. Sappiamo quanto il progetto animato della Sony non abbia nessun tipo di limite visivo (e questo secondo capitolo lo dimostra, come vi spieghiamo nella nostra recensione), portando l'animazione stessa ad un livello ancora più spettacolare.
Tuttavia, è l'evoluzione narrativa la parte più interessante, o almeno quella che merita capillare attenzione: un trionfo di colori in cui spicca il profilo di Miles e di Gwen, ragazzi newyorkesi alle prese con un mondo ostile e complicato. Anzi, Miles Morales, al contrario di Peter Parker, non è del Queens bensì di Brooklyn, ed è stato plasmato da Brian Michael Bendis e da Sara Pichelli in modo che rappresentasse le correnti biracial di New York: padre afroamericano, madre portoricana. E non è un caso che Miles Morales rappresenti proprio la trasformazione newyorkese, avamposto liberale e melting pot di culture ed etnie.
Spider-Man: Across the Spider-Verse, perché è il presente e il futuro dell'animazione
Da Fort Greene a Lexington Ave
Il paradigma, tra l'altro, è sovrapponibile alla stessa identità di New York: come la Grande Mela, Miles è un personaggio oggettivamente cool, a modo suo egocentrico. Un personaggio che catalizza l'attenzione, che colpisce. Bellissimo da vedere nel suo outfit urbano (le Air Jordan ai piedi, il cappuccio in testa), e caratterizzato da un certo umorismo, ma anche colmo di conflitti interiori, di ansie, di dubbi. Rendendolo umano, in qualche modo vulnerabile. Riassumendo, Morales è l'estensione contemporanea e fresca della Nueva York, mentre Parker è la classicità, la certezza, l'icona. Insomma: se Miles Morales è la Williamsburgh Savings Bank Tower di Fort Greene, Peter Parker è il Chrysler Building sulla Lexington Ave. Entrambi, fanno parte dello stesso agglomerato, ed entrambi sono le sfumature diverse di una città in perenne evoluzione.
Gli autori di Spider-Man: Across the Spider-Verse sanno bene quanto New York sia focale per Spidey, e dunque, almeno nella prima parte, non la perdono mai di vista: indirizza l'umore dei personaggi, respiriamo i suoi colori, vibriamo come vibra il traffico impazzito, muovendosi come un gigantesco serpente. Una città, tre livelli: le guglie che sfiorano il cielo, la strada con le sue regole e i suoi spudorati cliché, il sottosuolo della metropolitana, tra i leggendari coccodrilli e brooker di Wall Street sempre in ritardo. Vorticosamente, New York all'interno del panorama visivo di Spider-Man: Across the Spider-Verse diventa il palcoscenico verticale che rifiuta il concetto di fisica e di realtà, supportato da un'animazione tangibile e sconfinata. New York non esisterebbe senza Spider-Man, e Spider-Man non esisterebbe senza New York. Un rapporto radicato, inscindibile. Come quello di una madre con un figlio. E allora, se siete lì, al centro del mondo, dove tutto è possibile, alzate gli occhi al cielo: è lì che l'immaginazione diventa realtà.