Nello scrivere la recensione di Spaccapietre non si può non pensare al lavoro fatto sul corpo di Salvatore Esposito dai fratelli Gianluca e Massimiliano De Serio: non si vedeva un accanimento tale su un personaggio dai tempi di Dancer in the Dark di Lars von Trier. Come Björk nel film del regista danese, l'attore interpreta un padre costretto a crescere il figlio da solo, tra mille difficoltà.
Siamo in Puglia, Giuseppe (Salvatore Esposito) lavorava in una cava, ma, in seguito a un incidente, ha perso la vista da un occhio e non può più continuare. È quindi Angela (Antonella Carone), la moglie, a pensare alla famiglia, faticando nei campi: sfibrata dal lavoro occasionale all'aria aperta, muore, lasciando soli compagno e figlio, Antonio (l'esordiente Samuele Carrino), che sogna di fare il paleontologo perché ama i dinosauri.
Costretto a rivolgersi ai caporali di Angela, Giuseppe scopre presto che la vita dei braccianti è un inferno: ritmi massacranti sotto il sole, sfruttamento totale (persino l'acqua e un panino vengono decurtati dalla paga), zero empatia e umanità. Come gli racconta Rosa (Licia Lanera), amica della moglie, che gli svela come, se qualcuno si ammala o si fa male mentre è a lavoro, si cerchi in tutti i modi di insabbiare ogni cosa.
La forza di un padre
Unico film italiano in concorso nella sezione Giornate degli autori alla Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia 2020, Spaccapietre è un film affascinante, che sembra ambientato in un mondo antico e allo stesso tempo moderno. Purtroppo gli ultimi degli ultimi, lavoratori occasionali sfruttati fino alla morte, sono personaggi ancora attualissimi: mettendo in primo piano un padre solo con suo figlio, i fratelli De Serio non dicono allo spettatore come sentirsi, semplicemente mostrano tutto l'orrore e la mancanza di rispetto per la vita umana propria di chi, ancora oggi, sfrutta il prossimo in difficoltà, a prescindere dalla provenienza o dal colore della pelle.
In sala dal 7 settembre, l'opera seconda dei De Serio, che arriva nove anni dopo l'esordio Sette opere di misericordia, è un viaggio multisensoriale nella sofferenza. Sembra di essere lì in piena campagna in mezzo ad Antonio e Giuseppe: sentiamo il loro sudore, la polvere che si impasta sulla pelle bruciata dal sole, l'odore del sangue di un maiale sgozzato con gusto dal padrone. Siamo con Antonio quando il padre lo porta al mare dicendogli che la mamma è lì, in mezzo alle onde: sembra di sentire il sale nelle narici.
E sentiamo però anche l'adrenalina, la paura, l'angoscia di una vita che potrebbe interrompersi tragicamente da un momento all'altro. Tutto questo traspare dal volto di Giuseppe: nonostante l'occhio offeso, non perde la forza di raccontare storie a suo figlio, di giocare con lui, di fargli credere che tutto andrà bene. Ma con l'occhio buono vede tutto e sa bene che la speranza è un lusso che non può permettersi.
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Un'altra ottima prova per Salvatore Esposito
Gli stanno addosso Gianluca e Massimiliano De Serio: Salvatore Esposito non ha scampo. Usando la sua fisicità, l'attore agli occhi di Antò è un gigante di pietra, mentre invece il suo volto dice tutt'altro. Sfibrato dal dolore fisico e mentale, vive in funzione del figlio, sua unica ragione di vita e speranza per il futuro. Si commuove quando dice a Rosa quanto ama i dinosauri. Così come quando lo vede giocare con un cane. Invece fuori tutto è duro, freddo, opprimente.
Sempre più bravo a scegliere i ruoli, mai uguali, Esposito sa sfruttare al massimo il proprio corpo, recitando con le mani, la schiena, perfino i capelli, quando i registi gli inquadrano la nuca. Il suo abbraccio massiccio e avvolgente sembra di sentirlo. Là dove finisce la stretta del padre, vanno lontano gli occhi grandi e profondissimi di Antò. "Promettimi che starai attento" gli dice un migrante dalla pelle scura. I De Serio sembrano dire lo stesso al pubblico: promettici di prestare attenzione agli altri, alla sofferenza. Tutti possiamo diventare l'ultimo anello della catena alimentare di un altro.
Conclusioni
Come scritto nella recensione di Spaccapietre, presentato a Venezia 2020 nella sezione Giornate degli Autori, è l’opera seconda dei fratelli De Serio, ambientata in Puglia, nel mondo duro e spietato del caporalato. Salvatore Esposito usa ogni centimetro del suo corpo per raccontare un padre in difficoltà, disposto a tutto pur di far sopravvivere il figlio. I registi stanno addosso al corpo dell’attore, che convince nel ruolo di quest’uomo piegato dalla sofferenza. Bravo anche l’esordiente Samuele Carrino.
Perché ci piace
- I fratelli De Serio stanno addosso ai protagonisti: sembra di essere lì con loro nei campi.
- Sfruttando spazi, colori e perfino odori, tutto sembra vero.
- Salvatore Esposito cambia ancora una volta, dimostrando di essere sempre più bravo.
Cosa non va
- Le continue sofferenze imposte al protagonista potrebbero mettere alla prova gli spettatori più sensibili.