Recensione Tornando a casa per Natale (2010)

Il norvegese Bent Hamer continua ad offrirci i suoi ritratti agrodolci di viva solitudine, le sue storie minimali di uomini e donne che il gioco degli affetti ha ridotto spesso ad outsider, ma nondimeno vivi, mai arresi, mai pacificati.

Solitudini natalizie

Storie umane di vario tipo si intrecciano in una cittadina norvegese, sullo sfondo di una nevosa notte di Natale. Un uomo separato, costretto a stare lontano da moglie e figli, si inventa un travestimento da Babbo Natale per poterli rivedere e portar loro dei regali; una donna continua ad illudersi che il suo amante, sposato, lascerà sua moglie e i suoi figli per stare con lei; un ex calciatore di successo, ora indigente e alcolizzato, incontra una vecchia conoscenza che gli offre rifugio e un pasto caldo; un ragazzino finge che la sua famiglia non festeggi il Natale per stare un po' più di tempo vicino a una sua amica musulmana; una coppia di immigrati clandestini, lui serbo e lei albanese, è costretta ad un parto in casa e si rivolge a un medico che ha dimenticato, un po' troppo velocemente, di avere anche lui una persona vicino. Su tutto, un prologo e un epilogo rivelatori; e soprattutto l'atmosfera magica e malinconica insieme di un Natale vissuto in una piccola comunità, i cui rituali possono comunicare calore o gelo, la cui essenza può indifferentemente includere o escludere, a seconda delle condizioni personali di chi lo vive.


Il norvegese Bent Hamer continua, con questo Tornando a casa per Natale, ad offrirci i suoi ritratti agrodolci di viva solitudine, le sue storie minimali di uomini e donne che il gioco degli affetti ha ridotto spesso ad outsider, ma nondimeno vivi, mai arresi, mai pacificati. Lo fa, ancora una volta, con un tono improntato ad un malinconico umorismo, a uno sguardo disilluso ma partecipato, ricco di empatia. Il carattere corale della sceneggiatura (che prende spunto da una raccolta di racconti dello scrittore Levi Henriksen, opportunamente rivisti e selezionati) non fa che comunicare ancor più la sensazione di storie umane colte nel loro divenire, che il gioco della casualità fa intrecciare, avvicinare ed allontanare, istantanee di vite quasi sempre diverse da quelle che ci si era immaginati; esistenze che esprimono sempre una tensione verso un luogo altro, quella casa del titolo a volte solo sognata, a volte dolorosamente rimpianta, a volte da conquistare con dura determinazione. La scelta di ambientare queste vicende in un piccolo centro urbano non fa che renderle più vicine l'una all'altra e allo spettatore: quello che ne risulta è la sensazione di una comunità che può essere accogliente o alienante, che può abbracciare con calore ma anche emarginare spietatamente; così come quel Natale in cui questo dualismo si esprime in tutta la sua radicalità.

E' proprio sull'ambientazione natalizia che è opportuno soffermarsi, con i suoi simboli e le sue consuetudini, parentesi sospesa della vita sociale in cui le tensioni personali, siano esse positive o negative, si accentuano e si radicalizzano. Come ha dichiarato lo stesso Hamer, le storie qui narrate non sono direttamente legate al Natale, ma al contrario potrebbero funzionare tranquillamente in un periodo dell'anno diverso; cionondimeno, la rabbia, le aspirazioni, le disillusioni e i sogni ad occhi aperti dei personaggi trovano in questo contesto una chiarezza maggiore, una purezza quasi assoluta (riflessa nel bianco della neve che avvolge la cittadina) in un periodo in cui gli affetti, o ciò che di essi rimane (sia pure solo un ricordo) viene messo potentemente in primo piano. Così, il significato del tornare a casa del titolo, che questa casa sia un luogo reale o piuttosto un'aspirazione dell'anima, diventa più chiaro per tutti: non per tutti sarà un obiettivo raggiungibile, qualcuno fallirà, qualcun altro sfiorerà questa destinazione solo per un breve momento, qualcun altro ancora ritroverà in sé le motivazioni per avvicinarvisi. Nessuna delle storie qui raccontate offre un finale consolante: starà allo spettatore decidere cosa ricavarne, e se avvicinarsi maggiormente al polo della speranza o a quello della rassegnazione. Ma il cerchio aperto dal prologo e chiuso dall'epilogo, che in fondo riassume in sé lo spirito del film, sembra suggerire (e non urlare) la posizione del regista. Mai scontata, mai assunta una volta per tutte, ma certo impossibile da ignorare.

Movieplayer.it

3.0/5