"Strumento di mira indiretta, complementare a quello delle armi di distruzione di massa, l'oculare della macchina da presa imbarcata a bordo degli aeroplani prefigura una mutazione simtomatica dell'acquisizione di obbiettivo, una derealizzazione crescente dello scontro militare in cui l'immagine si prepara ad avere la meglio sull'oggetto, il tempo sullo spazio, in una guerra industriale dove la rappresentazione degli eventi domina la presentazione dei fatti. Sviluppando in tal modo le premesse di una vera e propria logistica della percezione militare, in cui l'approvvigionamento di immagini diventerà l'equivalente dell'approvvigionamento di munizioni, la guerra del 1914 inaugurerà un nuovo sistema d'armi. [...]
Guerra delle immagini e dei suoni che sostituisce la guerra degli oggetti (proiettili, vettori più o meno devastanti), a vantaggio di una volontà di illuminazione generalizzata, capace di tutto dare a vedere, a sapere, in ogni angolo, in ogni istante, versione tecnica dell'occhio di Dio che impedirebbe per sempre il caso, la sorpresa."
(P.Virilio, Guerra e Cinema, 1996).
Oltre la guerra degli eroi, dei vigliacchi, dei popoli, del dolore, sta la guerra vera. Un meccanismo di visione-distruzione in cui l'azione umana si limita allo scorgere e al celare.
Quello che di carnale resta, nella guerra tecnovisiva impostasi con lo sviluppo dell'aviazione prima e delle nuove visioni sintetiche contemporanee poi, è orpello, indecisione, inadeguatezza.
I soldati di Ridley Scott popolano i teatri delle operazioni a solo ed esclusivo uso dell'occhio che li osserva (quello dei centri di osservazione volanti, quello dei satelliti, quello della m.d.p. e dello spettatore) e non hanno che i loro occhi (i mirini dei loro fucili, i visori notturni, le relazioni continue della sala di coordinamento gremita di monitor, i bersagli a infrarossi per i sistemi di guida d'arma automatici) per rimanere vivi. Per continuare a popolare l'universo di immagini che sembra essere rimasto il solo dotato di realtà.
Nell'unica lunghissima battaglia la morte è l'oblio, è l'essere lasciati indietro, celati alla vista e quindi annullati nella propria immagine e quindi nella loro essenza bellica. I corpi martoriati delle vittime vengono ostinatamente recuperati per non negarne neanche per un momento l'evidenza, il numero, la presenza. L'elicottero esiste in quanto inquadrato nei monitor degli aerei spia.
Black Hawk Down è insieme il trionfo e la tragedia dell'immagine autoreferenziale che popola il nostro universo. Ed'è forse il primo film in cui il trito luogo comune del cinema come regno del guardare acquista una sua consistenza operativa. E' una interminabile soggettiva sulla guerra, dal punto di vista della guerra.
Visivamente superbo, perfetto nei ritmi di montaggio, organico e narrativamente compatto. Coeso e coerente nello sforzo di instaurare una nuova estetica dello scontro bellico. La mano di Scott si esalta come poche altre volte e realizza inquadrature stupefacenti, sempre composte e equilibrate, ma gremite di azione e di movimento, in macchina e di macchina.
L'atmosfera è bruciata dal sole e offuscata dalla polvere ma la fotografia ha lo stesso tipo di nitidezza, di precisione, di un'immagine satellitare, o di una termoscopia.
Mai come in Black Hawk Down il mezzo e il messaggio sono stati la
stessa cosa, mai uno strumento meccanico come la macchina da presa ha avuto davanti a sé qualcosa di così similmente connaturato allo sguardo da riprendere.