So Long, My Son, la recensione: Il dramma e l’emozione

La recensione di So Long, My Son, film di Wang Xiaoshuai vincitore come miglior attore e miglior attrice all'edizione 2019 del Festival di Berlino.

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So Long, My Son: Yong Mei e Wang Jingchun in un'immagine del film

Nel contesto di un concorso di Berlino 2019 non eccelso, alcuni film spiccano rispetto alla media. Uno di questi è sicuramente So Long, My Son, vincitore di ben due premi, per il miglior attore e la migliore attrice. È un'epopea intima e allo stesso tempo articolata del regista cinese Wang Xiaoshuai, già premiato qui al festival tedesco sia nel 2001 (un premio della giuria per Le biciclette di Pechino) e nel 2008 (miglior sceneggiatura per In Love We Trust). Il suo ultimo lavoro è un film più ambizioso e complesso, che nelle sue tre ore di durata copre tre decenni di storia della Cina, la sua evoluzione e cambiamento, tenendo in primo piano il dramma di una famiglia e le vite di una coppia. Un film che ci ha colpiti particolarmente e ve ne spiegheremo i motivi in questa nostra recensione di So Long, My Son.

La trama che parte dalla tragedia

L'inizio di So Long, My Son è potente: spinto a fare il bagno in una riserva da parte di altri amici, il piccolo Xingxing annega e a nulla valgono gli sforzi per portarlo in ospedale. Il bambino non ce la fa, e la sua famiglia ne risulta distrutta, tanto che i due genitori Yaoyun e Liyun lasciano l'area rurale in cui erano sempre vissuti per trasferirsi in una grande città nella quale non conoscono nessuno e della quale non capiscono nemmeno il dialetto. Nemmeno il ragazzo che decidono di adottare, Liu Xing, è di conforto: non può sostituire il figlio che hanno perso e per di più, con il passare degli anni, si rivela di difficile gestione fino a lasciare casa raggiunti i sedici anni. La loro sofferenza non li abbandona e li costringe a vivere nei ricordi, almeno fino a quando non decidono di tornare nel paese in cui tutto era iniziato.

Il tempo che passa

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So Long, My Son: Yong Mei e Wang Jingchun in una scena del film

C'è il senso del tempo che passa nel lungo e accorto racconto del regista cinese. Non solo per i cambiamenti inerenti le vite dei tanti personaggi, da Yaoyun e Liyun alle altre famiglie che compongono e completano la storia, supportato da un cast intenso e in gran forma, ma anche per il modo in cui si riesce a rendere l'evoluzione, sociale e politica, del paese in cui vivono. La Cina è, infatti, altrettanto protagonista di So Long, My Son con i suoi cambiamenti rapidi e costanti che hanno portato al capitalismo sfrenato dei tempi più recenti. La critica della società contemporanea si accompagna quindi al dramma familiare che compone la vicenda, vi si intreccia e interseca, diventa un unico grande racconto epico che Wang Xiaoshuai porta avanti con gran senso della composizione e della messa in scena, dimostrandosi capace di grande presenza laddove è importante, ma anche discreto distacco quando necessario.

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Gli incastri della vita

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So Long, My Son: Un'immagine del film

Il film non è costruito in modo lineare e soprattutto nella prima parte si sposta continuamente avanti e indietro nel tempo. Non è un vezzo, ma piuttosto il bisogno e la voglia di creare incastri, assonanze e riverberi: il regista crea una struttura narrativa in cui passato e presente si avvicinano e accompagnano, enfatizzandosi e spiegandosi a vicenda, dando dinamica e forza a un racconto che nel suo essere circolare trova compimento e realizzazione. Ci si sente colmi d'emozione nel seguire la storia di Yaoyun e Liyun (i bravissimi e premiati Wang Jingchun, Yong Mei), marito e moglie placidamente in attesa di diventare vecchi dopo che la vita ha tolto loro così tanto. Si partecipa e si emoziona, per nulla ostacolati dalla struttura cronologica non lineare, ma piuttosto incoraggiati a capire i personaggi, provare empatia nei loro confronti, e lasciarsi condurre in questo lungo e caldo viaggio in uno spaccato di vita della Cina.

Movieplayer.it

4.0/5