Skyfall: Naomie Harris e l'evoluzione della Bond girl

Lanciata da Danny Boyle in 28 giorni dopo, l'attrice londinese è stata scelta da Sam Mendes per rappresentare una donna finalmente alla pari con 007. L'abbiamo incontrata nella Capitale.

Sexy, pericolose e quasi sempre destinate a una fine prematura; queste sono storicamente le Bond girl, ma oggi la tendenza è decisamente cambiata. Da quando Daniel Craig ha in parte mutato la natura dell'agente segreto talentuoso nell'evitare disastri internazionali come nel collezionare facili conquiste, anche le sue compagne sul set hanno subito delle variazioni preferendo all'esibizione della bellezza quella della propria indipendenza. Un'evoluzione che, dopo la misteriosa Eva Green e la combattiva Olga Kurylenko, sembra concludersi nel personaggio interpretato da Naomie Harris. Dopo aver affrontato gli zombi in 28 giorni dopo ed essere stata all'altezza dell'addestramento puntiglioso imposto da Michael Mann in Miami Vice, l'attrice inglese veste in Skyfall la combattività di un agente segreto in azione che, pur non avendo una mira precisa e guidando in modo discutibile, nasconde un segreto sulla sua identità da scoprire inseguimento dopo inseguimento.

Com'è stato entrare a far parte del cast di Skyfall? Naomie Harris: Per me si è trattato di un sogno diventato realtà. Io sono cresciuta guardando i film di Bond e adorandoli tutti. Certo non avrei mai pensato che un giorno ne avrei fatto parte. Si è trattato di un'esperienza straordinaria dai provini fino ai festeggiamenti con la mia famiglia per aver ottenuto la parte.

Ci svela qualche particolare del suo personaggio?
Eve è un agente operativo. Ci troviamo di fronte ad una donna capace, che crede nelle sue capacità tanto quanto Bond. Quindi, si tratta di una Bond girl atipica rispetto a quelle che abbiamo conosciuto nel passato ed è il motivo principale che mi ha spinto a volerla rappresentare. Era l'occasione giusta per dare vita ad un personaggio femminile in cui le donne d'oggi avrebbero potuto riconoscersi.

Tanto forte da riuscire a sparare a Bond. Quanta soddisfazione le ha dato imparare a maneggiare con tanta naturalezza le armi?
Mi ero già misurata con l'action in Miami Vice. In quel caso, nonostante non dovessi sparare nemmeno un colpo, Michael Mann volle ugualmente che fossi addestrata da agenti sotto copertura. Devo dire, però che la scena in questione mi ha messo molta pressione addosso, tanto da desiderare che venisse cancellata. Era impensabile colpire l'eroe, avevo paura che il pubblico non mi avrebbe mai perdonato.

Continuando a parlare di action, si riguarda mai in 28 giorni dopo, dove era impegnata a dare la caccia agli zombi?
Non vedo quel film da molti anni, anche se rimane uno dei miei preferiti. E difficile trovare un regista pronto a scommettere su di te quando non ha un grande background, ma Danny Boyle l'ha fatto con me. Con quel film lui ha cambiato la mia vita e dieci anni dopo, affidandomi una parte nello spettacolo teatrale Frankenstein, ha continuato a farlo dato che Sam Mendes mi ha visto proprio sul palcoscenico del National Theater di Londra.

Solitamente le Bond girl hanno grandissima popolarità, ma poche sono state in grado di lasciare un segno effettivo. Lei non teme il ripetersi di questa "maledizione"?
No, non credo. Lavoro in questo ambiente ormai da molti anni. Due giorni dopo la fine delle riprese di Skyfall ho ricevuto la parte di Winni Mandela per il film A long walkman to freedom, quindi spero di poter continuare la mia carriera. Il problema delle Bond girl storiche era la semplice rappresentazione della bellezza fisica utile a dare piacere all'eroe. Oggi, invece, si enfatizza il concetto di parità. Questa capacità di evolversi nel tempo credo che sia l'elemento positivo della saga di 007. Infatti, pur muovendosi sempre lungo degli schemi fissi, questi vengono adattati alle evoluzioni della società e al passare dei tempi.

Lei ha partecipato anche alla saga de I pirati dei Caraibi. Quanta tensione si avverte quando si entra a far parte di un franchising campione d'incassi?
Quando entri in un progetto di lunga serialità, avverti immediatamente una grande pressione e tutto questo si amplifica quando si parla di James Bond. Si tratta di una saga con una tradizione lunga cinquanta anni e con innumerevoli fan accaniti. Appena arrivata sul set, ho avvertito immediatamente questa responsabilità che rischiava di bloccare la mia creatività. A quel punto un mio amico mi ha suggerito di affrontare il lavoro come se mi trovassi in un film indipendente e, devo dire, che si è rivelato l'approccio vincente.