È passato quasi un decennio dall'uscita di Sin City, celebre comic movie tratto dalle strisce di Frank Miller, che Robert Rodriguez adattò con la collaborazione dello stesso Miller. L'operazione di ricerca, e di estrema contaminazione tra i linguaggi del cinema e del fumetto, che quel film portava avanti, colpì e convinse molti: il film di Rodriguez e Miller era quello che si poteva dire (cosa pressoché unica, nel cinema di allora) un fumetto filmato; che in qualche modo "riportava a casa", sul grande schermo, quei motivi che lo stesso Miller aveva tratto da tanto cinema noir classico.
Ora, la stessa coppia (coinvolgendo in gran parte lo stesso cast) prova a replicare la formula in questo Sin City - Una donna per cui uccidere: sequel tratto dall'omonima graphic novel di Miller, che si avvale anche della tecnologia, nel frattempo divenuta dilagante nel cinema americano, del 3D.
Due settimane prima dell'uscita italiana del film, e a ridosso della sua proiezione durante il Romics (che ha conferito loro il suo premio speciale, il Romics d'Oro), Miller e Rodriguez sono venuti a Roma a presentare la pellicola alla stampa; dando vita a un incontro affollatissimo e ricco di spunti di riflessione sul lavoro di cineasta, su quello di fumettista e sui sempre più frequenti contatti tra i due mondi.
L'evoluzione tecnica e il consolidamento di un team
Rodriguez ha introdotto la conferenza stampa spiegando le differenze, a livello tecnico, tra la lavorazione del primo Sin City e quella di questo sequel: "All'epoca del primo film la situazione era molto diversa, gli attori e la troupe non conoscevano la tecnica del green screen, e in gran parte si sono dovuti fidare. Questa volta, tutti si sono sentiti più a loro agio, visto che gli attori nel frattempo si erano abituati a questa tecnica. L'innovazione maggiore è stata quella del 3D: grazie ad essa, i disegni di Frank e il suo universo prendono vita in maniera più forte. A questo proposito, è interessante guardare il film prima in 3D e poi nella versione bidimensionale: si capisce quanto la stereoscopia porti, in più, all'universo di Frank. E' un universo molto astratto, con immagini asciutte; molti film in 3D sono piene di dettagli, lo sguardo non sa dove posarsi: qui invece, al contrario, è tutto all'insegna dell'essenzialità e lo sguardo si dirige subito sugli elementi fondamentali." "E' vero, l'uso del 3D aiuta a concentrarci su ciò che è necessario, funzionale alla narrazione", ha confermato Miller. "All'epoca del primo film, veramente, anch'io avevo difficoltà a fidarmi. Poi, però, abbiamo fatto una full immersion nelle tecniche che ci avrebbero permesso di realizzare il film: tanto che alla fine non chiedevo più a Robert 'è possibile realizzare questa particolare scena?' ma piuttosto "come la faremo?'" Qualcuno chiede poi dettagli sulla divisione del lavoro tra i due sul set. "Siamo stati complementari", ha risposto Rodriguez. "Spesso uno completava il lavoro dell'altro, visto che in gran parte avevamo le stesse idee. Spesso, alla fine, quando un'idea finiva nel film, era difficile dire poi da chi venisse. La collaborazione è stata molto forte, il punto di partenza era che entrambi amavamo il fumetto. Soprattutto, ci siamo divertiti davvero molto." "Quasi subito ho realizzato che le cose su cui discutevamo, in realtà, erano solo maniere diverse per raggiungere lo stesso obiettivo", ha detto Miller. "Ho capito che, in realtà, siamo fratelli separati alla nascita".
I personaggi, dalla carta al grande schermo
Miller ha poi approfondito i legami del suo universo con quello del cinema, e in particolare i riferimenti cinematografici dei suoi personaggi. "I personaggi del film vengono da varie parti", ha detto l'autore, "e anche dalla mia immaginazione. Sono cresciuto studiando film noir e storie criminali, e questo c'è nel film. Eva Green doveva diventare la quintessenza della femme fatale, superarle tutte; lei è riuscita a metterci davvero tutto, e ha creato un personaggio terrificante, sexy e molto tragico. Marv, invece, nelle note preliminari sul personaggio, l'avevo definito 'Conan con un trench': volevo creare una specie di barbaro che vivesse in contesto urbano." Qualcuno chiede poi ai due il motivo della scelta di non richiamare Clive Owen nel ruolo di Dwight McCarthy, quando il personaggio cambia faccia e assume il volto che avrà nel primo film (cronologicamente successivo). "L'idea era di avere due attori diversi", ha spiegato Rodriguez. "Dopo la scena del treno, Clive sarebbe dovuto tornare e subentrare a Josh Brolin. Considerata però la performance di Josh, abbiamo pensato che forse il pubblico sarebbe rimasto disorientato, avrebbe perso la connessione col personaggio. Ci siamo detti 'proviamo ad andare avanti con lui e vediamo come va'. Alla peggio, potevamo sempre richiamare Owen, ma ha funzionato." Sul tema dei rapporti cinema/fumetto, e sull'ipotesi estrema che, in futuro, il cinema possa sostituire integralmente il fumetto, con film pensati come strisce per lo schermo, Miller riflette: "Certo, oggi è difficile sedermi a un tavolo e disegnare il personaggio di Marv senza pensare a Mickey Rourke. In futuro, tutto è possibile, ma non si possono azzardare previsioni: c'è da aspettare e vedere cosa succederà". Rodriguez, sull'argomento specifico dell'adattamento delle tavole di Miller, ha specificato poi: "Volevo che si vedesse che questo è il Sin City di Frank Miller e non quello di Robert Rodriguez. Lui ha una visione completa del suo universo: non volevo che fosse un adattamento, ma un film in cui il cinema si adattava al linguaggio del fumetto." "Grazie a Robert ho capito che i fumetti possono essere sì adattati per il grande schermo, ma solo in questa maniera", ha aggiunto Miller. "I migliori comic movie sono quelli più vicini al materiale di partenza: il comic è pensato da una sola persona, ma se entri nella macchina di Hollywood avrai molte persone che vogliono dire la loro. Per cui, la cosa migliore è restare vicini al materiale di partenza."
Il fuorilegge dei comics
Alla domanda che chiedeva se, visto il brutto adattamento realizzato, i due avessero mai pensato di "vendicare" l'onore di Daredevil (prendendo in mano il progetto di prossima realizzazione) le risposte sono state convergenti. "Non ci ho mai pensato", ha risposto Rodriguez, mentre Miller ha specificato che: "se si vuole fare un buon film, bisogna avere pieno possesso del materiale di partenza. Questa è una cosa che ho imparato da Robert, e in particolare da questi due film. La vita è troppo breve per impegnarsi in progetti altrui". Vengono ricordate, poi, le ferocissime polemiche che accompagnarono l'uscita della graphic novel Holy Terror, storia di un supereroe che si scontrava con Al Qaeda. "Ho scritto quella storia perché, un giorno del 2001, più di 3000 persone, miei concittadini, sono state brutalmente assassinate, senza nessun rimorso o pietà. Quella storia era una reazione a quell'evento, derivata innanzitutto dal dolore e dalla rabbia. Tuttora, sono fiero di averla scritta. Se mi aspetto delle scuse, dopo la visione delle decapitazioni da parte dell'Isis? No, io non mi sono scusato con nessuno, e non mi aspetto scuse." Qualcuno ricorda anche la polemica che oppose Miller all'amico Alan Moore, sul tema del movimento Occupy Wall Street. "Io e lui siamo amici da molti anni", ha detto il fumettista, "ma non c'è praticamente niente su cui andiamo d'accordo. Litighiamo praticamente su tutto, inclusa la forma del pianeta. Ognuno continua ad avere le sue idee, e a dire quello che vuole." Qualcun altro ricorda a Miller la definizione che lui stesso diede di sé, quella di "fuorilegge del fumetto". "Senza cattivi, senza fuorilegge, non ci sarebbe spazio per gli eroi", spiega Miller. "In un mondo ideale non ci sarebbe bisogno di Superman o di Batman, ma questo mondo non esiste, né nella realtà, né nelle nostre storie". Un'ultima battuta, Miller l'ha poi riservata a chi gli chiedeva se avesse visto il trailer del nuovo Batman v Superman: Dawn of Justice, che sembra vicino al suo universo: "Non l'ho visto e non mi interessa. Non lo voglio nemmeno vedere, non è roba mia, e quindi per quanto mi riguarda possono farne ciò che vogliono. È un progetto di cui non faccio parte".