Silvia Salvatori, l'onestà di C'è ancora domani e il cinema come arte popolare

Califano, lo sguardo dei cani, Trastevere e Paola Cortellesi, e poi Irina Palm e le battaglie femminili. Perché "Oggi il cinema italiano deve tornare a raccontare la normalità". La nostra intervista a Silvia Salvatori, attrice di C'è ancora domani e Circeo.

Silvia Salvatori, l'onestà di C'è ancora domani e il cinema come arte popolare

Al sesto o al settimo squillo, ecco uscire dalle AirPods la voce, romanissima, di Silvia Salvatori. Ci saluta, ma poi si rivolge alla sua cagnolina, porgendole un biscotto. "Scusa", ci dice, "ma vivo in campagna ad Arcinazzo, circondata dai cani, dai gatti... Dalla natura". Nessuna scusa, anche perché il feeling è già scattato: invece di parlare di cinema, finiamo a parlare di quanto "il senso primitivo della vita sia negli animali". Volete mettere? Eppure, di argomenti da cavalcare ce ne sarebbero: Silvia Salvatori, infatti, è nel cast di C'è ancora domani di Paola Cortellesi, il caso cinematografico dell'anno, e la vedremo in Adagio di Stefano Sollima, accanto ad un irriconoscibile Pierfrancesco Favino (ma nel cast ci sono anche Valerio Mastandrea, Toni Servillo e Adriano Giannini) - "sono molto contenta di questo ruolo, e poi Sollima è eccezionale", ci dice.

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Silvia Salvatori. Foto di Barbara Ledda

Non solo, dopo il passaggio su Paramount+, eccola nella serie Rai Circeo diretta da Andrea Molaioli, nel ruolo di Maria Causarano, avvocato della famiglia Lopez (la serie è un ottimo legal drama che gira attorno al processo del massacro del Circeo). Un'annata mica male, che l'attrice riassume così a Movieplayer.it: "Mi considero una sopravvissuta, ma ho interpretato tre personaggi femminili di cui vado fiera. È stato un 2023 importante".

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Silvia, a proposito di natura, mi hai detto che abiti ad Arcinazzo: come si passa da Roma alla campagna?

Sono cresciuta a Trastevere, e ora sono nelle campagne di Arcinazzo. Prima è stata un'esigenza, ora è una scelta. Vivere nella natura è più bello, e mi ha aiutato molto durante i lockdown. Pensavo di non farcela in quel periodo, stavo partendo per la Tanzania per un documentario. Poi... ho trovato la mia Nada (una delle sue cagnoline ndr.) tra i secchioni, e mi sono spostata in campagna per far sì che stesse bene lei. Del resto, sono cresciuta in un'altra Trastevere, e il degrado di oggi non riesco a digerirlo...

Ti capisco. Tra l'altro, noi amanti degli animali abbiamo una pressione costante verso di loro.

L'incontro con Nada è stato destino. L'ho salvata, ma è lei che ha salvato me. Qui poi accolgo i maremmani abbandonati... sai, c'è un senso primitivo nella vita di paese: da una parte è affascinante, ma dall'altra... Mi chiamano la Da Brigitte Bardot d'Arcinazzo. Che ti devo dì, i cani possiedono il senso della vita.

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Una foto di Silvia Salvatori. Foto di Barbara Ledda

Potremmo parlare solo di cani. Ne hai tanti?

Tanti. Cucciolate, diverse razze. Purtroppo, uno che ne avevo, un cane esemplare, dolce, me lo hanno investito. Gli abbiamo fatto il funerale, tutto il paese è venuto. Oh, sono come il Califfo (Franco Califano ndr.), a me 'mi emoziona più lo sguardo di un cane'. Ecco, mentre gli uomini si fanno la guerra, gli animali insegnano il rispetto. Io non piango è una canzone da brividi. In Califano c'era tutto. Amo gli artisti autentici.

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"Gli attori? Bisogna tornare a mettersi nei panni degli altri"

Gli artisti, ma tu come sei diventata attrice?

Intanto, vengo da una famiglia che ha vissuto il cinema. A partire da mia nonna. Il cinema per me è un lavoro. Tutte le donne, da parte di mio padre, hanno lavorato al cinema. Mia nonna era montatrice e sincronizzatrice del suono per la Titanus. Anche mio padre è stato un montatore negli Anni Settanta. A casa c'è sempre stato il televisore. Il cinema fa parte di me. Devo dire però che la mia formazione è teatrale, e la scuola teatrale forse è più facile per apprendere per certe nozioni che trasmette. Prima di tutto c'è l'impegno, poi non rinuncio al mio abito sfavillante, a un red carpet. Passione e responsabilità.

Un lavoro, che in Italia non viene valorizzato.

Bisogna tornare ad insegnare l'arte, bisogna tornare a vestire i panni degli altri. La società e la politica ci dividono costantemente, e dividono i contenuti. Le persone non si trovano più tra loro. Le grandi sceneggiature sono nate per strada. Penso a Elio Petri e Gian Maria Volontè. Erano persone impegnate, attive, frutto di uno stile di vita pieno di coinvolgimento. Oggi, se fai dieci film l'anno, che può uscire fuori?

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Silvia Salvatori e Paola Cortellesi in C'è ancora domani

Come si fa resta se stessi?

Non è facile, ma ho la fortuna di frequentare attori riconosciuti dal grande pubblico. Con Paola Cortellesi ci siamo legati molto dopo Gli ultimi saranno ultimi di Max Bruno, e non è facile essere popolari. Devi uscire quasi mascherato, ma Paola ha un bagaglio, di quelli che sono cresciuti nelle cantine, ecco. Non siamo usciti dai talent. Abbiamo un bagaglio importante, parliamo, ci frequentiamo, ceniamo, stiamo insieme. Così come Bruno. Arriviamo da Trastevere, dal Teatro Colosseo, dai teatri off. Si resta noi stessi. Certo, alcune cose si sono perse. E alcuni attori forse sono diventati troppo riconoscibili...

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Il successo di C'è ancora domani

Veniamo al punto: C'è ancora domani sta avendo un successo incredibile. Te lo aspettavi?

Sì, perché Paola è rimasta una donna meravigliosa, ed è rimasta riservata. È attenta e gentile. Il film rispecchia totalmente quello che è Paola. Sono contenta del successo, è un film che arriva a tutti. La popolarità, per me, è un complimento. E poi è bello che i giovani vadano al cinema, senza sentirsi giudicati.

Strano che la il successo non sia ancora stato strumentalizzato...

Seguo poco, ma ho letto commenti da rosiconi... Mi rendo però conto che alcuni giovani non hanno la giusta risonanza emotiva. Perché non vengono educati alla bellezza? Paola ha raccontato una storia di donne che hanno faticato moltissimo per essere considerate. Donne che hanno salvato le proprie figlie da un destino simile al proprio. La responsabilità è di noi adulti. C'è ancora domani riunisce le parti, grazie ad una narrazione che non calca la violenza, ma sottintena la malinconia di chi ha subito la violenza stessa. Deve stabilirsi il dialogo tra uomo e donna.

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Una scena di C'è ancora domani

Ed è qui che entra in gioco la responsabilità

Non ho figli, ma mi sento madre lo stesso nei confronti delle responsabilità. Ho vissuto in Africa, dove ho aperto una piccola scuola, e lì non c'erano dei preconcetti di genere - qui vedo atteggiamenti radicati, tipici dei maschi. Amici che ho, magari separati, e mi sento dire: 'lei resta la madre dei miei figli'. Sei moglie e sei madre ma non sei la persona... non è un retaggio terribile? C'è un'abitudine verso certi tipi di discorsi. Come la violenza, che diventa il frutto diretto delle donne. Assolutamente no: c'è il consenso, e basta. Abbiamo un peso che portiamo sulle spalle da anni. Anche se sono emancipata, mi sento schiacciata da certe dinamiche.

Circeo, la riconoscibilità e la responsabilità

In Circeo interpreti l'avvocato della famiglia Lopez. Un processo che ha fatto scuola, in certi termini.

È stato incredibile passare dalla sora Elvira di C'è ancora domani all'Avvocato Causarano. Circeo è stato scritto da tre donne, e questo è importante. Fa la differenza. E fa la differenza l'approccio verso la violenza. Solo una donna può scrivere certe battute, ed è stato emozionante girare Circeo nel tribunale, sentendo tutto il bagaglio femminile. Non bisogna partire dal femminile per estirpare la piaga, ma bisogna rieducare il maschile. Tutt'ora, sento frasi aberranti che arrivano dalla Giustizia, come se una violenza fosse colpa di una minigonna.

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Un momento della serie Circeo

In C'è ancora domani si racconta una certa normalità, una cosa rara. Perché il cinema italiano di oggi ha smesso di raccontare le persone normali?

Perché la politica è entrata nell'arte. La cosa allucinante è che è tutto politico. Voglio diventare apolitica. La politica è una roba marcia. Noi abbiamo una responsabilità, anche nella scelta di ciò che racconti, e come lo racconti. La tv ha creato una struttura tremenda. C'è una confusione tra l'intrattenimento fine a sé stesso con l'arte vera. Ecco, per alcune cose bisogna dire di no. Bisogna pensare all'incontro che genera l'arte. Poi tanti colleghi non aiutano nelle scelte, preferendo la comodità alla sperimentazione. L'arte deve essere scomoda. Non raccontiamo nemmeno più le donne: dopo i 50 anni non ci sono più ruoli interessanti. Penso ad un film come Irina Palm di Sam Garbarski: alcune storie in Italia non si possono raccontare. È veramente triste, e lo spettatore non si riconosce più.

In cosa si riconosce il pubblico?

Penso ad Imma Tataranni - Sostituto procuratore, con la mia amica Vannessa Scalera... perché ha avuto così tanto successo? Perché racconta una donna normale, e la normalità equivale alla responsabilità nei confronti del pubblico. Questa situazione mi altera e mi stride: passo dei momenti di buio totale per fare il mio mestiere.

Qual è la cosa più bella, nel fare l'attrice?

Per me è bello quando non mi riconosci dopo che ho interpretato un personaggio. Ed è un merito se questo accade. Non serve mettersi i lustrini. Voglio essere una donna e un'attrice coraggiosa fino alla fine dei miei giorni.