Shelby Oaks, recensione: un horror ibrido che spreca lo spunto iniziale

A metà tra mockumentary e film classico, l'esordio di Chris Stuckmann convince fino a un certo punto, facendo evaporare le suggestioni iniziali. In sala.

Un'immagine di Shelby Oaks

Nascosto dalla voglia di (stra)fare - nonostante il budget irrisorio che spesso si traduce in una risorsa creativa - si intravede qualcosa di genuinamente interessante nella regia di Chris Stuckmann. Regista esordiente che, dopo una significativa gavetta nel mondo dei cortometraggi, firma con Shelby Oaks il suo lungometraggio d'esordio. Ciò che emerge è un horror derivativo e appassionato, una dichiarazione d'amore al genere, ma che purtroppo risulta scollato e discontinuo nelle varie forme e nelle diverse sezioni che compongono i suoi novanta minuti (scarsi) di montaggio.

Shelby Oaks Il Covo Del Male Immagine
Shelby Oaks - Il covo del male: Sarah Durn in un'immagine

Scritto da Stuckmann insieme alla moglie Samantha Elizabeth, il film è una produzione totalmente indipendente, nata e finanziata grazie a una campagna di crowdfunding che ha riscosso notevole successo, culminando con la presenza di Mike Flanagan come produttore esecutivo. Non è poco, e l'ambizione che muove il regista è palpabile: l'intenzione è quella di mescolare elementi tipici del mockumentary e del found footage per poi, purtroppo, deviare e strutturare la seconda metà di Shelby Oaks come un horror più tradizionale. Purtroppo.

Shelby Oaks da mockumentary a film tradizonale

Sì, perché Shelby Oaks - Il covo del male parte proprio come un efficiente ed efficace mockumentary che pesca dal linguaggio tipico di YouTube - Stuckmann è anche youtuber -, tra found footage e storie paranormali, di cui è pieno internet. In qualche modo, la storia è infatti introdotta dalla cronaca inventata che ripercorre la sparizione di un gruppo di investigatori paranormali (i Paranormal Paranoids), mentre indagano su l'inquietante prigione di una cittadina abbandonata.

Shelby Oaks
La forza del found footage

Il mistero si infittisce quando vengono ritrovati morti. O quasi. L'unico corpo che non viene recuperato è quello di Riley Brennan (Sarah Durn). Che fine ha fatto? Stacco. Shelby Oaks riprende la narrazione dieci anni dopo, lasciando il mockumentary per affidarsi invece ad una classica messa in scena: la prospettiva cambia per seguire Mia (Camille Sullivan), intenta a scoprire la verità sulla scomparsa di sua sorella Riley.

Un ibrido che non funziona

Ed è proprio lo stacco - brusco, netto, poco lucido - ad alterare la riuscita di Shelby Oaks, facendolo diventare un ibrido incostante, se pur mosso da un'intuizione interessante e, nemmeno a dirlo, dal linguaggio strettamente contemporaneo. L'incipit, infatti, si regge sulle regole di un vero documentario sul paranormale, creando un coinvolgimento anche grazie all'utilizzo del found footage, da sempre suggestivo se pensiamo all'horror (da Blair Witch Project alla saga di V/H/S, la lista è lunga) e, in aggiunta, un'utile scorciatoia quando il budget latita (con una domanda: perché inserire elementi in CGI, snaturando le intenzioni "artigianali"?).

Shelby Oaks Il Covo Del Male Scena Film
Un momento di Shelby Oaks

Tuttavia, la seconda metà del film fatica a mantenere intatta la freschezza (e la tensione), agganciandosi ad una suggestione che vacilla, dissipando la carica orrorifica. L'inquietudine, quasi schizzata e imprevedibile, suggerita fin dalla prima sequenza, finisce per adagiarsi. Il terrore, invece di essere nascosto (ciò che non si vede fa più paura), viene illuminato e sottolineato, lasciando spazio ad una didascalia che si allunga fino al finale. Certo, Shelby Oaks è un tentativo, uno spunto, un gioco che mischia e shakera; un film che affronta il percorso narrativo con la voglia di fare e mostrare. Due verbi che, però, hanno poco a che fare con la sottile arte della paura. O, almeno, poco a che fare con l'horror indipendente, che, forte della sua libertà, potrebbe e dovrebbe osare di più in termini di sperimentazione. Peccato.

Conclusioni

Chris Stuckmann mischia la narrazione classica al mockumentary per un ibrido che non funziona del tutto. Il film si incastra in un accavallamento di toni poco fluidi e poco organici, facendo perdere la spinta cinetica. Peccato, perché le premesse di Shelby Oaks - anche grazie al basso budget - promettevano bene.

Movieplayer.it
2.0/5
Voto medio
N/D

Perché ci piace

  • La prima parte in stile mockumentary.
  • L'utilizzo del found footage.

Cosa non va

  • L'accavallamento tra un genere e l'altro non funziona.
  • Il finale è scarico.
  • La CGI sembra un corpo estraneo.