Recensione Quello che gli uomini non dicono (2006)

Insolito questo film sull'universo maschile, troppo spesso proposto in stereotipi meschini; qui vanno in scena paure e debolezze autentiche, rappresentate con la stessa illusoria semplicità del quotidiano.

Sette vite, un destino

Le vite di sette uomini s'incrociano in una cittadina della costa atlantica. Le loro vicende fluiscono in tre giorni attraverso rivelazioni, decisioni, abbandoni.
Un racconto sobrio e distaccato sulla fragilità di uomini diversi ma in lotta con i propri fantasmi.
Un professore, il sindaco, un archeologo, un ladro, un atleta, un eterno bambino e un uomo preistorico; coetanei che s'incontrano e si scontrano determinando l'uno la fortuna dell'altro.

Presentato in concorso al Festival di Cannes 2006, Quello che gli uomini non dicono è un'altalena fra le mille sfaccettature del carattere maschile che si rivela, attraverso lo sguardo di Nicole Garcia, mai semplice ed infantile.
Uomini adulti, con un lavoro, una famiglia, ma ancora il bisogno di affrancarsi da un passato che ne mina le vite; esistenze sulle quali gravano scelte affrettate o vigliacche, che li rende timidi interpreti di realtà banali. Succubi delle proprie donne dalle quali sfuggono e alle quali giungono, in cerca di perdono, anche quando non c'è più nulla da aggiungere a menages sterili.
Uomini di successo o falliti, istruiti o ignoranti, in ogni caso uomini che scoprono con grande sofferenza che la prima difficoltà è vivere, amando e lasciandosi andare, tornando alle origini, affrancandosi da vincoli sociali ed emotivi che li rendono estranei alle proprie esistenze.
Insolito questo film sull'universo maschile, troppo spesso proposto in stereotipi meschini; qui vanno in scena paure e debolezze autentiche, rappresentate con la stessa illusoria semplicità del quotidiano.

In un così complesso universo di fallaci modelli, si aggira Charlie, il figlio di Serge. Il ragazzo fa da trade union fra i personaggi, assistendo con attonita impotenza alle loro storie, tentando di trovare un modo per sfuggire ai meccanismi perversi in cui viene avvinto. Charlie è l'elemento di disturbo, punto di partenza e d'arrivo che, con la sua innocenza, fa da livella in un universo sballato. Il suo sguardo asciutto è quello della regista che mette in scena meccanismi dai quali gli stessi attori non intendono fuggire. Così il tradimento diventa l'elemento per riaccendere l'amore, mentre il successo, la voglia di smettere. Inutile parlare di uno spaccato della società attuale in cui, sempre più uomini smarriti esulano dalle responsabilità per rifugiarsi sotto le gonne di una moglie, una madre, un'amante, in un ideale ritorno all'utero materno in cui sentirsi protetti ed accolti. Quello che gli uomini non dicono è piuttosto un film su ciò che fanno, senza dire; di nascosto, con piccole o grandi menzogne, purché funzionali a perseguire lo scopo.
E' un film sull'infanzia latente e su come l'uomo sia destinato a rimanere sempre identico a se stesso pur cambiando. Così, il ritrovamento dell'uomo preistorico, è solo un pretesto per citare poeticamente l'infanzia dell'umanità. Ogni personaggio ha un destino che lo risucchia e dal quale vorrebbe sfuggire; quando riesce ad affrontarlo, inizia la sua crescita.

La sceneggiatura di Jacques Fieschi, che torna a collaborare con Nicole Garcia dopo L'avversario, si ispira alla scuola di Robert Altman e conferisce naturalezza all'evoluzione degli eventi, giocando agli incastri nelle vicende dei personaggi che a volte s'incontrano casualmente, altre fanno l'uno parte della vita dell'altro.
Grazie ad una buona sceneggiatura e ad una regia asciutta, Quello che gli uomini non dicono può essere considerato un film discreto, sebbene rimanga troppo sospeso tra la commedia e il dramma, soffrendo di un'identità poco nitida e di tempi scenici a volte troppo lunghi.