Senza fine, la recensione: Ornella Vanoni, tra mito e ricordi fuggevoli

La recensione di Senza fine, il documentario di Elisa Fuksas su Ornella Vanoni: un'impresa folle e caotica, fatta di vuoti, molte assenze e una creatura quasi mitologica: la sua protagonista.

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Senza fine: una foto del film

L'imprevedibilità e la follia, e una località quasi senza tempo dove i piani del presente e del passato si sovrappongono in un flusso di immagini in cui la narrazione metacinematografica entra prepotentemente nel racconto. Doveva essere un road movie, ma il documentario su Ornella Vanoni firmato da Elisa Fuksas, come vedremo nella recensione di Senza fine, si è trasformato in una creatura strana fatta di vuoti, aneddoti e memorie sospese tra il reale e il surreale, in un continuo spostamento del confine tra scena e fuori scena. In sala dal 24 febbraio dopo un'anteprima di tre giorni (dal 21 al 23 febbraio in alcune sale selezionate), il film scritto dalla regista insieme a Monica Rametta in realtà racconterà ben poco della vita di una delle più grandi voci della musica italiana, e nel tentativo di dare forma all'esuberanza del personaggio finisce per rompere tutti gli schemi del documentario classico.

Un racconto metacinematografico

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Senza fine: un'immagine del film

Il focus del racconto si sposta così in un altrove governato da dogmi che non sono quelli della narrazione tradizionale: un aspetto che per alcuni rappresenta il pregio di questo documentario, per altri invece il vero limite. A diventare centrale in Senza fine è altro: non l'artista con il suo passato da sviscerare, ma il rapporto di amicizia tra la regista e Ornella Vanoni o quello tra la cantante e la cinepresa che la rincorre anche fuori scena e ne cattura le nudità.
"Cosa ho fatto di male nella vita? Perché mi sottopongo sempre al martirio? Perché ho accettato tutto questo!", bastano alcune battute iniziali per intuire quale sarà l'andazzo. Elisa Fuksas riprende tutto: dentro ci finiscono gli scontri con la protagonista, gli ammutinamenti e le sue fughe improvvise, persino un siparietto in cui il produttore Malcom Pagani cerca di raggiungerla al telefono per convincerla a rientrare in scena.

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Senza fine: un momento del film

Ma trovano spazio anche gli incontri con Vinicio Capossela, Samuele Bersani, o la tromba di Paolo Fresu che riempie gli spazi vuoti del grande albergo anni '40 a Castrocaro Terme, immerso nel deserto dell'estate padana, un luogo definito dalla geometricità degli spazi e dalle simmetrie perfette. Razionale, freddo, minimale e pronto a prendere vita attraverso la parole svagate della cantante e i ricordi fuggevoli quasi inafferrabili di un passato che si fa sempre più liquido, come l'acqua che tanto piace all'inseparabile cagnolina Ondina e alla quale la stessa Vanoni affida la cura del proprio corpo nella routine di giornate scandite da nient'altro che non siano trattamenti termali, centrifughe e sedute di fisioterapia.

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Il mito del personaggio: una fiaba tra reale e irreale

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Senza fine: una sequenza

Prevale l'idea di una narrazione per immagini e suggestioni, l'aneddotica è relegata a sparuti fotogrammi in cui Vanoni ricorda la passione folle con Strehler, l'amore con Gino Paoli e di come lo convinse a scrivere per lei Senza fine, la Milano della ricostruzione dopo il collegio, dove c'erano Pozzetto, Fo e Jannacci. Per lei la vita passata è "un insieme di flash, un melange di tutto ciò che ha vissuto", ma ne parla poco; in compenso si lamenta molto delle "ossessioni" della regista e della fatica a reggere i ritmi delle riprese. La linearità cede ben presto il passo alla confusione, l'imprevisto diventa la regola, ma la bellezza del documentario consiste proprio nella capacità della regista di rendere rappresentabile l'impossibile. Ogni inciampo si trasforma in occasione di racconto, il dietro le quinte finisce in campo e il "come sarebbe stato se..." diventa scena.

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Senza fine: una sequenza del film

Del resto è lei stessa a spiegare cosa significhi fare un documentario su Ornella Vanoni, rispondendo a una delle domande che Elisa Fuksas le rivolge: "Un film sulla mia vita... fino a un certo punto è reale poi è irreale. È come una fiaba, è bello finire la vita in una fiaba". In quella zona d'ombra tra possibile e impossibile, nel suo trasformarsi e diventare qualcos'altro Senza fine trova la propria identità, come succede alla protagonista nell'onirica sequenza finale, la stessa immagine acquatica che apre il film, in cui la cantante coperta da un pesante abito da sirena si immerge nelle acque di una piscina diventando "creatura fantastica". La sublimazione definitiva del mito.

Conclusioni

Alla fine della recensione di Senza fine resta la sensazione di aver assistito a un’operazione interessante, che certo nulla aggiunge al mito di Ornella Vanoni, ma che ha sicuramente il merito di aver messo in campo un racconto sui generis sospeso nel tempo, dove passato e presente si rincorrono in una sequenza di fotogrammi apparentemente illogici. In realtà la sua centralità non risiede come le convenzioni vorrebbero nel personaggio, ma nelle sue sottrazioni e nel suo rapporto con gli spazi di quell’hotel senza memoria, anonimo e definito da geometrie perfette. Un’opera che si muove costantemente tra scena e fuori scena.

Movieplayer.it
3.0/5
Voto medio
4.0/5

Perché ci piace

  • La rottura degli schemi tradizionali del racconto documentaristico.
  • L’imprevisto diventa risorsa e occasione di racconto: lo sguardo si sposta dalla semplice rievocazione di aneddoti del passato, alle assenze, gli ammutinamenti improvvisi di Ornella Vanoni, gli scontri e il rapporto con la regista stessa.

Cosa non va

  • Rimarrà deluso chi si aspetta di assistere ad un documentario classico, con tanto di aneddoti e rievocazioni sulla vita della protagonista.