Scusa ma ti chiamo genitore
Famiglie sgangherate sull'orlo della crisi postmatrimoniale e intergenerazionale che si azzuffano tra i crucci quotidiani e si fronteggiano a suon di parolacce: è così desolante l'Italia che Giovanni Veronesi dipinge nella commedia corale Genitori & Figli - Agitare bene prima dell'uso. Si ride ingenuamente alle battute geometriche piazzate bene da interpreti come Silvio Orlando o Luciana Littizzetto, duo affiatato che non sbaglia un colpo, eppure un'amarezza di fondo sembra subito risvegliare lo spettatore a una riflessione doverosa, che crossa le differenza anagrafiche: il confronto tra padri e figli s'inceppa sul versante della comunicazione, che incespica continuamente negli sguardi tradizionalistici degli uni e negli "aggiornamenti" linguistici degli altri, in una collisione irrimediabilmente disastrosa. Adulti e giovani si ritrovano così costretti a dare i numeri per non incorrere nei reiterati e volgari turpiloqui: nel dialogo, che non sembra mai costruttivo, sciorinano scoppi nonsense di "numeri casuali" piuttosto che usare la parola. Veronesi sembra dirci che il mondo narrativo che ci dispiega negli affastellamenti delle ragazzate equivocate e nelle scappatelle segrete dei "grandi" non riesca a esprimersi più se non nel confronto furioso. In questo modo il regista non prende una posizione netta e lascia che i personaggi s'incontrino e si scontrino in un conflitto che è più epocale che generazionale, facendo leva su temi attuali come il Grande Fratello, capace con il suo bombardamento mediatico di paralizzare anche le ambizioni dei più romantici.
La realtà in cui ci cala il film si preannuncia quindi come una Tideland all'italiana, alla quale mancano la dimensione allucinatoria e la tinta dark, ma il regista toscano riesce presto a cambiare il tiro della distorsione avvertita affidando la narrazione alla protagonista quattordicenne, che riesce a distinguersi dal gruppo dei propri coetanei. Con Genitori & Figli - Agitare bene prima dell'uso Veronesi lascia infatti la struttura narrativa a episodi per raccontare un'unica storia principale, quella di Nina, una liceale alle prese con una realtà familiare e sociale frammentata e quasi alienante. La voce off della protagonista, interpretata dall'esordiente Chiara Passarelli, ci racconta, a partire dal suo tema in classe, frutto di un lavoro documentaristico degli sceneggiatori e del produttore, il problematico rapporto che vive con i genitori separati e il fratellino Ettore. Nina adopera il compito come una confessione a cuore aperto e descrive con sensibilità la propria vita e le persone che ne fanno parte: la madre Luisa, una caposala ospedaliera nevrastenica che puntualmente è pronta a emettere sentenze al vetriolo, il padre Gianni, un orsacchiottone senza polso che si gongola nella sua barca/abitazione, il fratello Ettore, preoccupante versione infantile di un Hitler già votato alla razza "pura", le amiche di classe, spietate nei loro modi e nelle loro mode come il sesso take-away, Patrizio Cafiero alias Ubaldolay (il promettente Vittorio Emanuele Propizio), il primo, goffo, amore e la cinica nonna, ex giocatrice professionista di poker arrivata dal nulla, una Fata Turchina travestita da Volpe (cui Piera Degli Esposti dà forma con un ghigno esemplare).Il microcosmo di Nina viene configurato da una serie d'immagini che provano a rispecchiare la realtà, che però ne esce stereotipata fino all'estrema, prevedibile, schematizzazione bipolare. L'unica a fare eccezione in questo mondo marcio risulta così la protagonista, a metà tra l'adeguamento ai canoni aggregativi del gruppo e la distanza ragionata dalle regole seguite, alla quale l'intero film assegna il messaggio salvifico, messo a repentaglio più di una volta dall'accomodante logica della fortuna, tirata in ballo con naturale leggerezza anche di fronte alle uscite sorprendenti di un personaggio apparentemente debole come Ubaldolay.
Veronesi non si limita però a raccontare questa vicenda, quasi come se cadesse nella necessaria pratica dei rimandi collettivi dei suoi ultimi film, e prova ad arricchire il testo principale con la storia di Gigio (un Andrea Fachinetti messo bene in mostra dalle inquadrature), figlio di Alberto, il professore d'italiano di Nina e Rossana. Gigio è un ragazzo universitario sul quale il padre ha proiettato i suoi desideri di carriera che, però, è deciso a entrare al reality più gettonato degli Italiani perché da grande vuole fare l'attore. Alberto, interpretato da un Michele Placido canuto ma plausibile, non comprende il figlio e, come Gigio gli ribadisce, malgrado vada in giro con la moto, faccia leggere i testi di De André a scuola e scriva su Facebook non è affatto "moderno".
Lo spunto, che fa solo da costola alla storia principale, resta nella struttura del film un episodio che non aggiunge valore al nucleo, ma anzi rafforza, nelle contrapposizioni per segno opposto (la prima è una famiglia progressista in cui la donna sembra più forte del marito, la seconda tradizionale ed è il padre ad avere il muso duro), l'emergenza di una categorizzazione delle figure paterne, delle donne e dei figli.