Marcello Macchia rivede il suo Maccio Capatonda in una serie incredibilmente coraggiosa. Affronta i propri demoni, i personaggi cult, il legame con i fan. Smonta e ricompone se stesso, guardando in faccia la propria libertà di cambiare, di innovarsi. Prende posizione, esce dallo schema, distrugge l'algoritmo. Finalmente. Scritta insieme ad Alessandro Bosi, Mary Stella Brugiati e Valerio Desirò (che troviamo anche nel cast, in un ruolo determinante, dopo aver accompagnato Maccio per anni negli sketch), e diretta insieme ad Alessio Dogana, Sconfort Zone è l'illuminazione che aspettavamo (la trovate su Prime Video dal 20 marzo). Una presa di coscienza che diventa all'improvviso specchio contemporaneo: Maccio alias Marcello racconta con serissima ironia un'epoca sovraesposta, caricata, distratta, e lo fa con una sincerità talmente potente da risultare catartica.
Sconfort Zone: la terapia d'urto di Marcello Macchia

Si parlava di coraggio: ci vuole fegato per guardarsi allo specchio, mandando in frantumi la propria immagine. Dietro Sconfort Zone la miccia di Marcello Macchia, rimasto a corto di ispirazione. Un foglio bianco, il blocco dello scrittore, le idee che mancano. È stato già fatto e detto tutto, e i personaggi-fenomeni di Maccio non sembrano più adatti: bisogna ucciderli per poter tornare a vivere (ma state tranquilli, lo ha detto lo stesso Macchia, il saluto momentaneo è frutto di una transizione artistica).
La produzione sta aspettando il pitch per una nuova serie, e quindi serve una terapia d'urto: nonostante gli avvertimenti del suo manager (interpretato dal vero manager dell'artista, Luca Confortini), e nonostante i dubbi della sua compagna (Francesca Inaudi), Marcello/Maccio accetta di seguire i consigli di uno psicologo-guru (Giorgio Montanini). Dovrà superare sfide impensabili, oltre l'inaudito, per ritrovare - chissà - l'ispirazione perduta.
La libertà di essere vulnerabili, oggi

Vedendo Sconfort Zone, ci scommettiamo, stabilirete immediatamente una connessione con questo nuovo Maccio: meglio di altri, ha saputo raccontare in otto puntata da mezz'ora un'epoca costantemente caricata, capace di consumare l'ispirazione e il senso artistico in nome di una formattazione intellettuale dai confini standardizzati: ci ritroviamo a fare tutto, senza voler far nulla. È una scelta linguistica quasi rivoluzionaria quella di Marcello Macchia (ha ammesso che la sceneggiatura è in parte autobiografica, avendo affrontato effettivamente una crisi di idee), che sceglie di uscire dalla zona di confort (e mai titolo più azzeccato) per strutturare una serie tv tout court, curata nella struttura e nelle sue svolte, registrando un umorismo meta-narrativo, dai toni surreali, e legato ad un'uniformità relativa all'ironia scelta.

Ovvero, la comicità in Sconfort Zone non è il fulcro, né il fine, bensì diventa il pretesto per spostare l'attenzione, prendendosi la responsabilità di cambiare, sfidando l'intero settore, levandosi le maschere, mostrandosi nudo e straordinariamente vulnerabile. Maccio taglia a metà quella tavolozza emotiva che, complici i troppi stimoli, rende nebulose le nostre scelte. Uno spunto potentissimo, se considerato quanto oggi la società tenda a togliere il respiro in nome di una costante produttività, inseguendo un'effimera performance che martella e corrode.

La stratificazione comica, insomma, è sovrapponibile alla rivoluzione interiore, e in contrasto ad una società che tende ad escludere i pensieri più originali. In mezzo, a legare gli episodi, le reference con cui Macchia è cresciuto: torna Ritorno al futuro - di cui Sconfort Zone riprende alcuni elementi - e torna il suo immaginario pop che lo ha formato (con tanto di omaggio a Non è la Rai), rendendolo, per distacco, il migliore tra gli autori comici. Come dimostra una serie dallo spirito riottoso e splendidamente umanista.
Conclusioni
La maturazione artistica e personale di Marcello Macchia alias Maccio Capatonda. Il punto di svolta, lo sguardo umanista verso la comicità immediata, e quindi il ragionamento che passa attraverso una crisi anche figlia dei tempi sovraesposti che viviamo. Il comico non è più solo comico, ma anche specchio in cui riflettersi, per elaborare al meglio quell'evoluzione fondamentale per ogni artista. Applausi.
Perché ci piace
- L'idea assolutamente coraggiosa.
- L'altalena comica.
- Il cast di contorno.
- Il finale.
Cosa non va
- Addirittura, otto puntante sembrano poche.