Sangue all'italiana
Il sangue non è tutto. Quando negli anni'70 Dario Argento imperversava con i suoi film, terrorizzando e inquietando gli spettatori, lo faceva mettendo in luce dei drammi a tinte forti, antesignani degli odierni serial-killer. Non erano semplicemente dei film horror, anzi non lo erano per niente. Il regista cult descriveva nei dettagli fatti macabri oggetto di misteriose uccisioni, fatti che altri tralasciavano, raccontandone esclusivamente le inchieste degli ispettori e i successivi colpi di scena.
Oggi, il thriller "nostrano" di genere, dagli effetti granguignoleschi, sembra avere una nuova vita. Dopo Il siero delle vanità, ecco arrivare nelle nostre sale Occhi di cristallo di Eros Puglielli, presentato a Venezia quest'anno, che dai presupposti sembrerebbe soddisfare quei cultori del male di provincia, tanto malato, quanto affascinante.
Un assassino è la strada da seguire. Un assassino che sta costruendo, con le singole parti delle sue vittime, l'espiazione del suo passato, oscuro e controverso. L'ispettore Amaldi, è sulle sue tracce, come vincolato da alcuni fantasmi che abitano il suo inconscio. Sconfiggere il serial killer, significa cancellare definitivamente le ombre che vivono nella sua mente.
Puglielli, alla sua opera seconda, dopo avere cercato di affrontare la filosofia teoretica e la metafisica, senza troppa convinzione, si insinua in un genere che in parte gli risulta congeniale. Le trovate registiche dei dettagli e delle repulsioni, i fuori fuoco, e l'elemento costante dell'occhio, ripreso già da Infascelli ne Il siero delle vanità, ed eletto quasi a simbolo di un nuovo cinema "giallo" all'italiana, ci riportano a un atmosfera cupa e "sporca". Le inquadrature impossibili, a lungo andare stucchevoli, delinenano sicuramente una ricerca stilistica interessante, e chiamano diverse citazioni del maestro Argento, così come l'ottima fotografia di Luca Coassin, ne ricrea le sensazioni. In questo labirinto di immagini, si muove Luigi Lo Cascio, nella parte di chi è alla ricerca del colpevole e, allo stesso tempo, della propria identità (da notare il passaggio repentino dal frigorifero di Amaldi a quello del killer). La sua interpretazione sarebbe convincente, se non fosse per quei suoi sguardi fissi, che imprigionano il suo personaggio in un loop inespressivo (soprattutto nel finale) a contrastare con gli innumerevoli movimenti della macchina da presa che, quasi sempre, gli ruba la scena.
Occhi di cristallo potrebbe apparire un esercizio di stile a tinte forti, ma un sottile filo lo lega a un sincero omaggio ai film italiani di genere del passato, strizzando l'occhio al cinema americano (Jonathan Demme è un riferimento). Per gli amanti della commistione fra carne viva e psiche.