Qualche estate fa, passeggiando per una Firenze afosa di fine luglio, capitava di passare a fianco di Piazza Santa Croce e sentire Roberto Benigni che declamava l'Inferno di Dante con il suo inconfondibile accento. Il pubblico toscano ha avuto la fortuna di vedere il proprio compaesano agli albori della carriera in veste di stornellatore, chitarra in mano, pronto a improvvisare versi e rime in musica sfruttando la sua proverbiale vivacità e la prontezza di spirito, ma in pochi avrebbero vaticinato per l'istrione di Manciano La Misericordia la gloria imperitura del premio Oscar. E che Oscar! Oltre a conquistare il premio per il miglior film e per le migliori musiche, composte da Nicola Piovani, La vita è bella ha donato a Benigni l'Oscar come migliore attore protagonista, unico uomo ad aver vinto l'ambita statuetta recitando in lingua non inglese (prima di lui l'onore era toccato ad Anna Magnani e Sophia Loren) e unico a essersi diretto da solo insieme a Laurence Olivier.
L'Oscar era un sogno inimmaginabile quando un giovane Benigni intonava il colorito Inno del corpo sciolto o ironizzava sulla sua origine contadina facendo riferimento, nei monologhi, a Vergaio, paese in provincia di Prato dove, nel frattempo, la famiglia si era trasferita. Alla comicità schietta, all'istrionismo anarchico, si sono aggiunti, con l'arrivo della maturità, una tensione lirica e una sensibilità ancor maggiore a temi d'impegno sociale. Il Benigni giullare irriverente che irrompe sul palco insidiando le pudenda di Raffaella Carrà e baciando sulla bocca Pippo Baudo si è trasformato, col passare del tempo, in raffinato narratore di allegorie e in divulgatore della grande tradizione italiana. Giunto al traguardo dei 65 anni, Roberto Benigni oggi sembra più impegnato a difendere la propria privacy che a ideare nuovi progetti, ma l'ultima parola non è ancora detta.
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Cioni Mario, l'antieroe del sottoproletariato
È dall'incontro con Giuseppe Bertolucci che Roberto Benigni crea il suo alter ego, quella maschera tragicomica ruvida e sgradevole che risponde al nome di Mario Cioni e lancerà la sua carriera. E' il 1975 quando Bertolucci scrive per Benigni il monologo Cioni Mario di Gaspare fu Giulia ed è subito un grande successo. Pochi sono, in realtà, i tratti che accomunano Mario Cioni a Benigni, l'origine contadina, la fede comunista, l'esuberanza verbale, ma il Cioni è più aspro, indurito da una perenne condizione di insoddisfazione che lo accompagna ovunque, inaridito dagli insuccessi. Campione del turpiloquio, il Cioni viene presentato con successo nei teatri italiani per poi fare irruzione sul piccolo schermo nel varietà di Rai 2 Onda libera dove compare su Televacca, rete immaginaria che interferisce con le frequenze della Rai. Presentando il Cioni nei suoi spettacoli, Benigni ci tiene a mettere in chiaro di essere una persona diversa dal suo alter ego "quasi stalinista e vessato dal cosmo" che irrita gli intellettuali spingendoli a invocare la censura.
Nel 1977 Giuseppe Bertolucci dedica al Cioni un intero film, Berlinguer ti voglio bene. Dapprima ignorata e mal distribuita, la pellicola assurgerà in seguito allo status di cult. Nel film, in cui non accade poi molto, il Cioni trascorre le giornate lavorando come muratore, vagando per la campagna mentre parla da solo, guardando film porno o subendo le angherie degli amici. Tra questi Bozzone, interpretato dal mitico Carlo Monni, decide di riscuotere un debito di gioco "in natura" intrecciando una relazione con la madre del Cioni, interpretata dalla diva Alida Valli. Il titolo del film si rivelerà profetico anni dopo quando, nel corso di uno storico comizio della FGCI, Roberto Benigni decreterà la fine della seriosità che circondava la politica italiana prendendo in braccio proprio Berlinguer. Negli stessi anni il comico toscano consolida la sua collaborazione con Renzo Arbore regalando al pubblico un'altra maschera degna di nota, il critico cinematografico de L'altra domenica che dispensa commenti surreali e improbabili improvvisati in duetto con Arbore.
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Chi siete? Quanti siete? Cosa portate? Un fiorino!
Dopo l'esordio alla regia con Tu mi turbi, film in quattro episodi di ispirazione vagamente religiosa, nel 1984 per Roberto Benigni arriva il primo grande successo cinematografico. E arriva in coppia con Massimo Troisi. I due comici, che più diversi di così non si potrebbe, uniscono le forze in quello che Benigni definirà "un incontro d'amore". Non ci resta che piangere nasce al Castello di Sorci, vicino ad Arezzo, dove i due amici giocano a impersonare Freud e Marx. Da lì nasce l'idea di girare una commedia ambientata nel passato. Il film viene girato in 13 mesi nelle campagne di Toscana e Lazio per via dei numerosi cambiamenti nella sceneggiatura. A posteriori Troisi commenterà ironicamente: "Dovevamo interrompere spesso le scene perché scoppiavamo a ridere. Io penso che noi siamo la rovina del cinema italiano pecché ce mettimmo llà a fa' gli attori, i registi, gli sceneggiatori; e chesto si fa solo dopo anni e anni di gavetta. Mo' arriva uno e dice mo' faccio 'a regia, 'a sceneggiatura e l'attore. Vabbè, fallo! Poi guarda 'o cinema italiano in che condizioni sta...".
Tra una risata e l'altra, però, all'uscita in sala Non ci resta che piangere si rivela un enorme successo e incassa 15 miliardi di lire, imponendosi come il principale incasso italiano e superando Indiana Jones e il tempio maledetto e Ghostbusters - Acchiappafantasmi. Tutto merito delle gag immortali di cui il film è cosparso e dell'idea di partenza che vede due amici, il bidello Mario e l'insegnate Saverio, alle prese con un viaggio nella campagna toscana che li condurrà nella misteriosa Frittole del 1492, alla vigilia della scoperta dell'America, in quell'epoca di passaggio che segna la fine del mondo antico e l'inizio dell'era moderna. Le personalità artistiche di Benigni e Troisi, solare ed estroverso il primo, timido e taciturno il secondo, si sposano in un memorabile connubio che si concretizza in gag immortali, dalla lettera al Savonarola all'incontro con Leonardo Da Vinci, dall'invito rivolto a Mario ("Ricordati che devi morire!") al passaggio alla dogana controllata dal gabelliere smemorato. Il successo di Non ci resta che piangere porterà Benigni sulla ribalta internazionale. Dal magico incontro con il regista indipendente Jim Jarmusch nascono il poetico Daunbailò, il frammentario Coffee & Cigarettes e il corale Taxisti di notte. Anni dopo anche Woody Allen dirigerà Benigni nel poco riuscito To Rome with Love.
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Una principessa è per sempre
La vita è bella è molte cose, tra le altre è una struggente dichiarazione d'amore a Nicoletta Braschi. L'attrice cesenate, moglie di Benigni dal 1991, è presente in tutti i film del comico con ruoli che ne valorizzano la presenza. Quale migliore prova d'amore? Ma ne La vita è bella Benigni supera se stesso costruendo una poetica metafora in cui la tragedia dell'olocausto viene raccontata attraverso lo sguardo di un bambino e dell'amore del padre che tenta di proteggerlo quando lui e il piccolo vengono separati dalla moglie nel campo di concentramento. Il nazismo si trasfigura, così, una fiaba in cui un padre, per mascherare gli orrori della guerra agli occhi del figlio, si inventa trovate argute e gustose gag. Il risultato sono sette candidature e tre Oscar ritirati da un irruente Benigni, che a Hollywood inanella esilaranti ringraziamenti nel suo inglese maccheronico dopo aver camminato sugli schienali delle poltrone sfiorando le teste dei divi. L'esplosivo comico garantisce lo spettacolo trasformando una cerimonia tradizionale e noiosetta come quella degli Academy Awards in una girandola di emozioni.
Un moderno giullare
Nella fase di maggior successo Benigni ha regalato al pubblico colorite commedie, affiancando l'icona Walter Matthau nell'irriverente Il piccolo diavolo, dove interpreta il demonio Giuditta, sdoppiandosi nel divertente crime movie Johnny Stecchino e ammiccando al caso del Mostro di Firenze nel rocambolesco Il mostro. Tutti personaggi che si cuce addosso con l'aiuto dello sceneggiatore Vincenzo Cerami e che trasformano i film in campioni di incassi.
Dopo la parentesi felliniana de La voce della luna, accanto a Paolo Villaggio, i flop di Pinocchio e La tigre e la neve hanno convinto il mattatore toscano ad allontanarsi progressivamente dal cinema diventando cantore della Divina Commedia in primis, opera con cui ha un rapporto tutto speciale, ma anche della Costituzione Italiana, a cui dedicherà lo show La più bella del mondo, e dei Dieci Comandamenti. I fan di Benigni già in passato avevano potuto apprezzarne le doti affabulatorie nella fiaba musicale di Sergej Prokofiev Pierino e il lupo, accompagnato dall'orchestra diretta da Claudio Abbado. E chissà che presto il giullare toscano non torni ad ammaliarci con un altro racconto.