Recensione Per amare Carmen (2003)

Si affaccia sul grande schermo il mito della Carmen, in una personale rilettura del cineasta spagnolo Vicente Aranda.

Ritorna il mito della Carmen

Il mito della Carmen irrompe sullo schermo grazie ad una coproduzione britannico-italian-ispanica, affidata alle sapienti mani di Vicente Aranda, cineasta spagnolo con una trentennale carriera alle spalle.
Per dare corpo alla donna-leggenda spagnola Aranda sceglie di centrare tutto sulla fisicità della sua protagonista.
E così sceglie Paz Vega, disinibita protagonista di Lucia y el sexo, che si offre altrettanto generosamente in questo nuovo progetto di lavoro. Il rapporto tra la macchina da presa e le forme tornite della protagonista imperniano il senso del film, la ricerca valoriale e tentativamente profonda della pellicola. Purtroppo, dal punto di vista di una dialettica della ripresa, c'è ben poco da segnalare. Il regista si limita a seguire piuttosto passivamente la storia. Non si riesce a scorgere una scelta consapevole o ragionata nelle decisioni di ripresa. Eppure l'andamento della vicenda si presterebbe a spunti notevoli.

L'eterna, ciclica, storia della rovina, fisica e morale, di un uomo per la sua donna, è inquadrata in un contesto settecentesco di una Spagna di soldati e zingare, bettole e palazzi reali, toreri e briganti. E il vortice che risucchierà il fino allora ineccepibile sergente Josè (interpretato dal discreto Leonardo Sbaraglia), impazzito per la bella e seducente Carmen, si presta a una lettura del quotidiano interessante. Lettura avvalorata dall'eterna storia di amore cieco, dedizione e perdizione, che si imprime nell'immaginario del cinefilo quasi come un luogo comune. Tutta una serie di spunti narrativo-riflessivi che vengono in gran parte dispersi da una regia e da un montaggio sciatti, interessati unicamente all'enfasi da infondere nei momenti chiave (operazione che, tra l'altro, non sortisce affatto gli effetti desiderati). Peccato perché la fotografia e i costumi inquadrano la vicenda definendo un contesto e una storicità del tutto gradevoli e ricchi di contenuto e verosimiglianza.
A contribuire a far perdere di mordente ad una pellicola comunque gradevole è il filtro del vecchio studioso Prospero, attraverso la cui intermediazione la storia di quest'amore tormentato giunge allo spettatore. Il personaggio appare troppo artefatto, estraneo al contesto e artificioso, per movenze e tempi scenici.
Uno sforzo produttivo notevole che riesce sì a rendere appetibile il film ad un pubblico non di nicchia, ma che non basta ad elevarlo su un piano qualitativo al di sopra della norma.