Recensione Actors (2003)

Un film esile e di facile consumo, di cui ci si dimentica in fretta, che nonostante la produzione inglese richiama purtroppo l'inconsistenza di tante commedie hollywoodiane recenti.

Risate inconsistenti

Il giovane attore di teatro Tom si trova davanti a quello che potrebbe essere definito "il ruolo della vita": il suo amico e collega O' Malley gli propone infatti di "interpretare" la parte dell'emissario di un gangster che deve ricevere dei soldi da un altro criminale. Se Tom sarà abbastanza convincente, i due potranno impossessarsi del cospicuo bottino; ma, come è facile immaginare, non tutto andrà come previsto e presto le complicazioni si susseguiranno una dopo l'altra.

Nonostante la produzione inglese, sembra in tutto e per tutto una commedia americana, questo Actors: tipicamente hollywoodiano è il modello di comicità proposto, così come le gag e la regia. Di alcune, disimpegnate ed innocue, commedie statunitensi recenti, il film di Conor McPherson prende purtroppo anche l'esilità della sceneggiatura, la sostanziale inconsistenza delle premesse e la vacuità dei contenuti: la storia iniziale (che nasce da un'idea di Neil Jordan, anche co-produttore), poteva essere uno spunto interessante per una riflessione sul mestiere di attore, sulle peculiarità della "bugia" del recitare, sul suo carattere in fondo sempre "pericoloso": niente di tutto questo, però, è stato esplicitato, e tali premesse sono rimaste solo sulla carta. La sceneggiatura sceglie piuttosto la via dell'intrattenimento facile facile, con due personaggi macchiettistici (il giovane attore che cerca il ruolo della vita; il collega più anziano che non è mai decollato e si sente incompreso da tutti), un'insopportabile bambina a fare da voce narrante, e una serie di gag che strappano risate facili e innocue, prodotto di una comicità di facile consumo, per famiglie, che mai graffia, mai risulta realmente pungente o interessante. Scambi di persona, minacce, morti simulate, la prevedibile storia d'amore: tutto ingarbugliato come da copione, in una complessità studiata che si traduce in realtà in piattezza, noia completa. Su tutto, un buonismo insopportabile, da film disneyiano, con criminali redenti dal cuore d'oro e sgherri che si limitano a romperti una gamba (giusto per il dovere imposto dal ruolo) anche dopo che hai ripetutamente cercato di fregare i loro capi. Finale a tarallucci e vino (qualcuno ne dubitava?): sì, c'è qualche osso rotto, ok, ma in fondo quelli si risaldano, e poi Michael Caine non sembra nemmeno soffrirne più di tanto.

La recitazione è quella che ci si aspetta da un film del genere: senza guizzi, con tutti gli attori che si adeguano alla piattezza dei loro personaggi, da un Caine che non sembrava nemmeno credere particolarmente nel ruolo (proprio quando il suo personaggio si affanna a predicare il contrario), a un Dylan Moran funzionale, ma la cui interpretazione non rimarrà certo negli annali, fino a tutti gli altri membri del cast, che svolgono bene il compitino facendosi dimenticare in fretta.
E in fretta ci si dimentica, alla fine, anche del film, prodotto studiato di facile consumo, che scivola addosso senza lasciare alcuna traccia: una prova che non solo Hollywood è capace di realizzare film vacui e sostanzialmente inutili.

Movieplayer.it

2.0/5