"Io a volte faccio qualche schifezza, perché si sa che sono sempre i migliori che se ne vanno". Così Lello Arena, con il suo napoletano stretto e i suoi folti boccoli grigi, scherza durante la presentazione di Ricomincio da tre (restaurato dalla Cineteca Nazionale). Fra aneddoti e imitazioni, rievoca con dolcezza il suo amico Massimo Troisi, mentre Fulvio Lucisano, più riservato e composto, annuisce e integra con i suoi, di ricordi. Si temeva che da Roma in su Massimo Troisi non l'avrebbe capito nessuno, eppure dopo un giorno di programmazione già lo adoravano tutti.
Ricomincio da tre, che inizialmente Troisi non voleva neanche dirigere, è durato trecentosessantacinque giorni nelle sale romane e ovunque è stato un successo, superando avversari "stellari" come L'impero colpisce ancora. Due giorni, il 23 e il 24 novembre, possiamo tornare a sorridere delle umili peripezie di Gaetano, e portare al cinema chi nel 1981 era troppo piccolo o non era ancora nato. Lello si fa accompagnare dal figlio dodicenne: chissà se ha raccontato anche a lui, come ha fatto con noi, di "quella timidezza e quella malinconia" che caratterizzavano Massimo e i suoi personaggi. Gaetano s'impappina in monologhi confusi, riportando citazioni che non ricorda, per impressionare Marta; Massimo s'incastrava in monologhi altrettanto confusi, per proporre con garbo agli attori di girare una scena per la seconda volta ("ma non perché è venuta male...").
Massimo e Gaetano
Allora non ci stupiamo di aver voluto bene a Massimo/Gaetano come a qualcuno di famiglia. E quando Gaetano vuole emanciparsi, e trasferirsi dal suo paese della provincia di Napoli a Firenze dalla zia, capiamo le resistenze dei suoi, e poi l'accoglienza della zia, cui fa seguito l'ospitalità del predicatore americano Frank dato che la zia intrattiene una relazione che preferisce tenere nascosta. Capiamo perfino l'amico invadente per eccellenza, Lello, che va a trovare Gaetano a Firenze, brontolando perché non lo ospita, e dopo nemmeno ventiquattr'ore finisce in ospedale, reclamando più attenzioni di un bambino. E capiamo la sofisticata Marta (Fiorenza Marchegiani), sedotta dal candore di Gaetano anche quando lui ricicla una frase senza sapere che è di Montaigne e, alle risatine di lei, non fa che peggiorare la situazione. "Ma che fai, parli con le frasi degli altri?" "Perché, conosci a Lello tu?"
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Capiamo chiunque voglia avere Gaetano accanto a sé, e godere della sua tenera insicurezza o delle sue riflessioni estrose. Gaetano non coglie i motivi per cui si dovrebbe preferire stare in una coppia aperta. In un dibattito letterario, cerca d'indagare sulla propria situazione sentimentale anziché filosofeggiare sui brani letti. Poi però, romantico e goffo come solo lui sa essere, fa di corsa il giro del palazzo per incrociare Marta e salutarla col fiatone, ispirando una decina di altre scene di film. E ci delizia spesso coi suoi ragionamenti, al crocevia fra un buonsenso popolare e un'originalità che rasenta l'unicità. Come quando si stizzisce che continuino a chiedergli se è emigrante, "pecché ccà pare che 'o napulitano nun pò viaggia', pò sulamente emigra'". O quando si spazientisce per la storia che San Francesco parlasse agli uccelli, e teorizza che la migrazione derivi proprio dal fatto che gli uccelli fossero esasperati: "Ma San Francesco nun teneva nient' a fa'? Stave continuamente int'e 'rrecchie 'e sti' povere bestie". Non possiamo non figurarci l'espressione perplessa di Massimo quando, in occasione di un altro sketch con La Smorfia, fu costretto a dichiarare insieme a Lello di non voler vilipendere la religione di Stato.
La cura per i dettagli
Non c'era l'ombra di autocompiacimento in Massimo, così come non c'è in Gaetano. E sorridiamo di tenerezza alla scoperta che certe battute fossero ripetute più volte perché anche gli spettatori del Nord Italia capissero, e che lui non amasse improvvisare: era tutto scritto, fin nei dettagli. Addirittura, aveva sottoposto il film a tagli ulteriori dopo che era già uscito nelle sale. "All'ultimo aveva avuto un ripensamento", spiega Lello Arena, rievocando nostalgicamente quella cura per i particolari che adesso non si trova più.
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E non è certo l'improvvisazione o la grandeur scenica, ma proprio quella preparazione certosina ad arricchire la spontaneità di Massimo di ulteriori sfumature: lievi come le musiche di Pino Daniele (di cui Massimo era grande amico), che aprono e chiudono il film. Precedendo le grida di Lello, mentre l'inquadratura rimane fissa su quell'elegante palazzo illuminato, di notte, poco prima che Gaetano faccia la sua entrata in scena. E suggellando, nel finale, i suoi buffi ragionamenti sul nome da dare a un figlio: perché con "Massimiliano" un bambino cresca "scostumato", mentre con "Ugo" venga richiamato rapidamente all'ordine. L'ultima boutade del suo primo, indimenticabile film: quasi il personale saluto di Massimo agli spettatori commossi di adesso.