Ricky Tognazzi commuove con Il padre e lo straniero

Al Festival di Roma 2010 è il giorno di Ricky Tognazzi e del suo film tratto dall'omonimo romanzo di Giancarlo De Cataldo presentato Fuori Concorso e interpretato da Alessandro Gassman, Amr Waked e Ksenia Rappoport. Ecco il nostro incontro con il cast.

Dramma familiare incentrato sull'amicizia, sull'essere padre, sulla diversità e sul dramma della disabilità infantile nel mondo di oggi, sulla multietnicità delle nostre città, sui ritmi sincopati di una società afflitta da mille paure e mille pregiudizi. Parliamo de Il padre e lo straniero, il nuovo film di Ricky Tognazzi che dopo Ultrà, La scorta e Canone Inverso - making love torna a parlare di amicizia e di uomini in una storia dolorosa e intensa incentrata su due padri, due figure maschili diverse per origini e ceto sociale ma accomunate da un dolore immenso per la malattia del proprio figlio. Protagonisti del film due interpreti di grande fascino come Alessandro Gassman, il padre, e Amr Waked, lo straniero, attore egiziano già apprezzato in Syriana al fianco di George Clooney, e la bellissima 'sconosciuta' Kseniya Rappoport.
Prodotto dalla Ager 3 di Grazia Volpi per RaiCinema, Il Padre e lo Straniero è scritto a otto mani dal regista insieme alla consorte Simona Izzo, all'autore del romanzo Giancarlo De Cataldo (edito dalla casa editrice E/O) e a Graziano Diana. Nel cast anche una partecipazione di Leo Gullotta e di Nadine Labaki, la regista e attrice libanese che nel 2007 ci regalò tutta la sua 'dolcezza' in Caramel. Il film uscirà il 18 febbraio 2011 distribuito da 01 Distribution.

Qual'è stato il vostro approccio come attori al tema della malattia infantile?

Alessandro Gassman: Ho avuto la fortuna di leggere il romanzo prima di sapere che avrei partecipato al film, non lo dico solo perchè Giancarlo è qui ma vi confesso che è un romanzo che mi ha profondamente emozionato, quando sono stato poi chiamato da Ricky Tognazzi sono stato molto contento, mi sono sempre chiesto quale sarebbe stata la mia reazione di fronte all'argomento e la risposta è che probabilmente non avrei mai avuto nella vita reale la fortuna di conoscere quest'uomo arabo, Walid. L'importanza di questo film è proprio questa secondo me, la conoscenza di qualcosa che è lontano da noi può aiutarci a migliorare la nostra esistenza. Abbiamo lavorato con bambini disabili, è stata un'esperienza molto toccante, fortificante per quel che mi riguarda, è stata quella la grande abilità di Ricky, rendere questo racconto mai patetico ma profondamente toccante per l'asciuttezza nell'affrontare un tema così delicato.
Kseniya Rappoport: Non ho letto il romanzo purtroppo, per me è difficile leggere in italiano, sono onorata di aver conosciuto Giancarlo e sua moglie, sono rimasta molto impressionata dall'argomento disabilità, ho amici che hanno un bambino disabile e grazie a loro ho avuto modo di visitare in Russia un centro che aiuta questi bambini, i sentimenti che ho provato sono difficili da raccontare.
Amr Waked: E' veramente difficile immaginare i sentimenti reali di chi ha a che fare nella vita con la disabilità di una persona cara, lavorare a stretto contatto con i bambini poi è estremamente toccante e mi è servito di lezione, loro ci aiutano ad imparare da noi stessi e a capire noi stessi, stando con loro riesci a capire da vicino l'amore incondizionato che si può dare ad un bambino, a maggior ragione un bambino malato che ha disturbi della personalità o fisici.

Confronto tra due culture sulla figura paterna, si capisce che in fondo il padre occidentale ha molto da imparare dal padre arabo, come ha affrontato questa cosa? Ricky Tognazzi: Sono felice di essere a Roma 2010 con un film sulla paternità in concomitanza con mia sorella Maria Sole, che ha presentato il film dedicato a nostro padre. Il protagonista del mio film vive una vita normale e impara attraverso l'amicizia con Walid e la conoscenza a diventare padre. In passato abbiamo raccontato storie di ragazzi che a contatto con un padre diventano uomini, qui raccontiamo di un padre che impara a diventare tale attraverso l'amicizia e la diversità. Siamo una società a crescita zero ma tanti stranieri fanno figli e per questo non ci siamo arrestati, una diversità che arricchisce quedlla che racconto e che spero arrivi allo spettatore.

Il vostro è anche un film sull'amicizia, avete portato qualcosa di vostro nella storia di De Cataldo?

Simona Izzo: Il romanzo di De Cataldo è la fonte del film, siamo intervenuti poco a dire la verità, non abbiamo faticato molto mentre abbiamo sudato sette camicie per fare in modo che il film si realizzasse. ricordo che Ricky nel periodo in cui uscì il romanzo girava con il libro in mano dicendo che sarebbe stato un grande film se solo avesse avuto la possibilità di farlo. E questo accadeva assai prima di Romanzo Criminale.
Personalmente vedo l'incontro tra questi due uomini come un incontro amoroso, c'è poca differenza, quello che si instaura tra loro è un rapporto che esclude la critica, esula da pregiudizi, Diego non si preoccupa mai del fatto che potrebbe essere anche un terrorista, abbiamo sempre bisogno di un padre per vivere, per il patrimonio genetico e culturale. In Italia abbiamo un grande problema, ricordo che ne La Scorta c'era un proverbio che recitava così "i figli maschi si baciano solo quando dormono". La nostra cultura, specialmente quella del Sud, ha sempre interpretato una figura di padre così distaccato, poco fisico, una lezione che purtroppo è ancora nelle braccia dei nostri padri. Quando lei si mette nuda con il bambino nella doccia lui si accorge di essere un estraneo ma poi col passare del tempo anche per lui quel momento diventerà un processo osmotico, la doccia diverrà una sorta di tempio in cui il bambino e il padre trascorrono il loro momento magico. Credo che l'amicizia sia uno dei sentimenti che ci accompagnano sempre nella vita, soprattutto quando questa non è basata su un vincolo professionale o utilitaristico, è certo che il sacrificio di Diego di coprire il suo amico rischiando molto per la sua vita è la dimostrazione che anche un sentimento come l'amicizia prevede un sacrificio. In cambio c'è la forza di diventare il padre dei propri figli, tutti noi nasciamo figli ma il processo di diventare padre non è semplice, lui subisce un processo di accelerazione della propria paternità grazie al contatto con Walid. Una madre non ha bisogno di imparare ad essere una madre.
Alessandro Gassman: Non mi ritengo particolarmente coraggioso nella vita, sono un uomo nella media, alla malattia di un figlio avrei reagito probabilmente come reagisce Diego prima di incontrare Walid. Tuttavia nella vita considero di importanza centrale l'amicizia e l'amore, mi sacrificherei molto se fosse in pericolo un mio amico.

Come ha scelto l'attore arabo, cosa le resterà di questa esperienza a contatto con lui?

Ricky Tognazzi: Amr l'ho conosciuto guardandolo nei film che ha fatto prima di questo, l'unico problema che abbiamo incontrato era dovuto al fatto che non conosceva tanto bene l'italiano ma si è molto impegnato, si è messo a lavorare duramente con la passione che solo i grandi attori riescono a tirare fuori e ha imparato la lingua strada facendo. La cosa bella del nostro lavoro è proprio questa, i film sono avventure che ti regalano e ti lasciano sempre qualcosa. A me rimarrà il suo sorriso e la simpatia, spero di aver fatto una nuova amicizia, e sono sicuro che a lui rimarrà un po' di italiano, è stato anche un modo per lui di integrarsi nel nostro piccolo mondo del cinema italiano. Nel suo piccolo anche il film ha rappresentato l'avventura che abbiamo tentato di raccontare, è stato per tutti noi un lavoro di crescita e il processo di conoscenza tra noi è stato esattamente come quello tra i due protagonisti della storia. Tutto questo è possibile nel cinema ma anche nella vita. Il dolore può unire e può dividere, come accade a Diego e Lisa che in virtù di un dolore non riescono a condividere fino in fondo, quello tra i due uomini invece è un dolore che unisce e che li farà rinascere.

Per trasporre il libro come avete lavorato, quanto c'è di De Cataldo nella sceneggiatura? Giancarlo De Cataldo: Abbiamo lavorato insieme nel film, infatti si può dire che è un prodotto collettivo al quale abbiamo tutti dato molto sentimento e molto cuore, la verità è che sono abituato a lavorare ad adattamenti di altre mie opere, lo faccio sempre volentieri. Mi piace questa forma di comunicazione tra le varie forme d'arte. C'è sempre una parte di tradimento nel passaggio dal libro alla storia filmata, ed io lo accetto purchè nel film funzioni, sia condiviso e purchè porti un vantaggio. Il film ha sempre un marchio visionario, quello del regista, che trasforma l'opera in qualcosa di diverso da quella originale, a volte lo fa in modo decisivo. In questo caso potrei dire di avere paternità sia dell'opera che del film. Per lavorare alla trasposizione abbiamo fatto riunioni estremamente conviviali e rilassate, questa dolorosità di fondo della storia che porta verso la speranza è stata molto importante per me come scrittore, soprattutto perchè mi occupo sempre di tradimenti e morti (ride).

Il soffio sul viso del bambino è un po' la sintesi della trasmissione da padre in figlio, com'è nata questa idea nel romanzo?

Giancarlo De Cataldo: La storia è in parte autobiografica e racconta della mia esperienza personale con la disabilità e l'ispirazione per il romanzo mi è venuta tanti anni fa, quando ho scoperto che mia figlia era gravemente malata. All'epoca si usavano parole diverse, si usava molto la parola handicap, parole scioccanti in quegli anni. Spero si riesca ad organizzare delle proiezioni con associazioni che si occupano di disabilità, sarà molto interessante vedere le reazioni di chi sta dall'altra parte. Il soffio è stato il modo per sottolineare visivamente il grande buco nero in cui finiscono i bambini affetti da disabilità, loro non vanno verso il mondo come tutti gli altri bambini che si avvicinano e lo vanno a conoscere. Chi nasce in queste condizioni rimane fermo in un presente che non va mai verso il futuro, vista la loro incapacità di prendere contatto con quello che li circonda. Chi ha il dovere e il compito immane di portare il mondo verso di loro sono i genitori. Diego non è un uomo che ha un mondo da portare, ma dopo l'incontro con Walid tutto per lui cambia, anche la visione del mondo. Lo straniero rimane la figura emblematica di uomo che è distante da noi per cultura e tradizioni e ci può offrire un esempio di come dovremmo comportarci in questi casi.

Cosa ne pensa della manifestazione di protesta sul red carpet dell'altro giorno a favore del cinema italiano? Giancarlo De Cataldo: In qualità di scrittore, magistrato, sceneggiatore e quant'altro voglio esprimere la mia solidarietà con i colleghi che hanno protestato.
Simona Izzo: La considero una manifestazione della cultura per la cultura, ma quando ci troviamo noi del cinema a fare queste proteste veniamo percepiti come dei privilegiati. Oggi come oggi i nostri prodotti cinematografici e televisivi vengono realizzati all'estero, in Argentina, in Ungheria e in Marocco. L'Italia non lavora più, i nostri operai di cinema costano troppo, dobbiamo combattere per loro. Noi che siamo su questo palco per fortuna facciamo un altro lavoro, perchè se dovessimo vivere solo con il cinema per noi non sarebbe una vita facile. I nostri elettricisti, i macchinisti e i fonici sono disperati. La Rai, a mio avviso, ha il dovere di far lavorare i tecnici italiani e non dovrebbe permettere che le produzioni siano spostate all'estero, specialmente per ambientare le storie nei nostri finti paesaggi. Ci andasse Mediaset all'estero.