Richard Linklater, “Il cinema è espressione personale e libertà”

Alla Festa del Cinema di Roma il regista di Boyhood presenta il suo ultimo film, Nouvelle Vague, ed è stato il protagonista di una Masterclass in cui si è raccontato al pubblico.

Richard Linklater

Voleva essere un romanziere, ma al college scoprì il teatro e da lì a poco avrebbe iniziato a "guardare film in maniera ossessiva". Fino a venti anni Richard Linklater non pensava minimamente che un giorno avrebbe fatto film, racconta il regista di Boyhood alla Festa del Cinema di Roma durante la Masterclass che lo ha visto protagonista poco prima di ricevere il Premio alla Carriera e presentare il suo ultimo film, Nouvelle Vague, un omaggio al movimento nato in Francia sul finire degli anni '50 attraverso il racconto in bianco e nero di uno dei suoi padri fondatori, Jean Luc Godard, alle prese con la realizzazione di Fino all'ultimo respiro.

Berlinale 2014 - Richard Linklater con l'orso d'argento per la miglior regia per Boyhood
Richard Linklater alla Berlinale con l'Orso d'Argento per Boyhood

"Dove sono nato non succedeva un granché, c'era una prigione di stato e nient'altro, quindi da piccolo andavo al cinema ogni fine settimana. Ma non ho mai pensato che avrei potuto fare un film, non riesco a spiegare quanto quell'idea fosse lontana da me almeno fino ai vent'anni. - ricorda Linklater - Prima di allora puntavo a fare il romanziere, poi all'università ho scoperto il teatro e ho iniziato a scrivere pièce; ma a un certo punto ho cominciato a vedere film e nel mio cervello si è acceso qualcosa".

Qualche anno più tardi nel 1985 ad Austin, dove si era trasferito dopo essere cresciuto in una piccola cittadina del Texas orientale, fonda la Film Society, un'associazione non profit con l'obiettivo di supportare i registi emergenti e promuovere il cinema indipendente, una vera e propria comunità di cinefili molto simile nello spirito a quella della Nouvelle Vague. Oggi è convinto che ciò che un regista fa "tra il momento in cui si innamora del cinema e quello in cui realizza il primo film" è cruciale: si programma, si guarda, si costruisce una comunità. È un periodo fondamentale che Linklater ha riempito "programmando rassegne, proiettando film e costruendomi una comunità attorno. Fare qualcosa oltre ai propri film fa bene. E io lo faccio ancora: sono 40 anni che continuo a programmare film. È una parte importante della mia vita".

Slacker e la forza della parole

Boyhood: Patricia Arquette insieme a Ethan Hawke e Richard Linklater sul set
Richard Linklater, Patricia Arquette e Ethan Hawke sul set di Boyhood

Quello di Richard Linklater è un cinema fatto di libere associazioni, quasi un flusso di coscienza, anarchico, rivoluzionario e profondamente lontano dalle logiche della narrazione convenzionale. Ma difendere la propria indipendenza è sempre stato un imperativo, sin dal suo primo lungometraggio, Slacker, un film senza una trama tradizionale, che scivola da un personaggio all'altro: "Era un'idea un po' folle, che avevo in mente da anni, ma quando ti innamori di un mezzo artistico è importante provare a portarlo oltre i limiti. E allora mi sono chiesto: 'Perché non si può fare un film che vada da un personaggio all'altro senza mai tornare indietro? Perché fare ciò che si è già visto? ' Sulla carta non aveva molto senso, ma sentivo che al cinema avrebbe funzionato", spiega.

Ma Slacker è anche un manifesto di intenti: "Fino a quel momento avevo sempre lavorato da solo, Slacker è stata la prima volta che ho avuto una troupe: c'erano altre sei persone con me. Ha rappresentato il momento in cui tutto comincia a prendere forma". Compreso il linguaggio che avrebbe caratterizzato tutta la sua poetica futura: dialoghi fiume, digressioni tra sogno e realtà, l'azione fuori campo.

Ethan Hawke, Julie Delpy e il regista Richard Linklater di fronte a un computer sul set di Before Midnight
Richard Linklater mentre gira una scena sul set di Before Midnight

"Mi colpiscono i personaggi folli, con i loro monologhi, le cose pazze che dicono. Il film che avevo fatto prima era molto silenzioso, quasi senza dialoghi, un'esperienza puramente visiva sull'alienazione, su persone intrappolate. - spiega Linklater - E mi sono detto: 'E se cominciassero a parlare?'. Con Slacker volevo mostrare ciò che ronza nelle nostre teste. C'è qualcosa di positivo nel fatto che gli esseri umani provino a farsi ascoltare, a comunicare: è divertente e nello stesso tempo borderline, evocativo. Descrivere qualcosa può essere meglio della cosa stessa, basta solo farlo in modo coinvolgente". E sul rapporto con gli attori confessa: "Amo gli interpreti e mi piace sfidarli con lunghe sequenze di dialoghi, ma così è la vita e questo è il cinema. Alcuni dei miei film preferiti sono pieni di lunghi monologhi e attori che pontificano; li trovo affascinanti", confessa

Dalla trilogia di Before a Boyhood

Richard Linklater, Julie Delpy ed Ethan Hawke sul set del film 'Prima dell'alba'
Richard Linklater sul set di Prima dell'alba con Julie Delpy e Ethan Hawke

Lunghi monologhi e dialoghi interminabili diventeranno emblematici di molti altri suoi film successivi, come quelli della trilogia "Before" (Prima dell'alba, Prima del tramonto e Before Midnight) con Julie Delpy ed Ethan Hawke nei panni di Jesse e Céline, due sconosciuti che si incontrano per caso su un treno diretto a Vienna. L'idea del primo capitolo della trilogia "accidentale, assolutamente non pianificata" è nella sua semplicità quanto mai radicale: fare un film "su una sensazione, nata da una notte passata con una persona conosciuta per caso". Se con Before Linklater segue la storia d'amore dei due protagonisti per un arco di tempo di circa vent'anni, con Boyhood, che racconta la crescita di un ragazzo dall'infanzia all'età adulta, si spinge oltre e gira per 12 anni usando sempre gli stessi attori.

Richard Linklater: Dream is Destiny, Linklater in un'immagine tratta dal documentario
Richard Linklater in un'immagine del documentario Dream is destiny

"Cercavo di rappresentare la vita che scorre ed esprimere cosa si prova a crescere. Volevo dire qualcosa sull'infanzia, ma il limite ovvio del cinema è che non puoi chiedere a un bimbo di sei anni: 'Ora hai nove anni. Ora ne hai dodici'. Ecco perché la soluzione di molti film è coprire un tempo breve nella vita di una bambino. Sentivo però che non avrebbe funzionato", fu così che nacque l'idea di mostrare i personaggi mentre crescono usando gli stessi attori. "Risolveva un problema narrativo, ma ne creava un altro: ci sarebbero voluti 12 anni!", ma alla fine ce l'ha fatta.

La lezione della Nouvelle Vague

Il risultato è un cinema di piccoli frammenti, di sensibilità, di minuzie, che negli anni è sempre riuscito a rimanere fedele a se stesso anche quando le major gli offrirono l'opportunità di realizzare School of Rock con Jack Black.

Nouvelle Vague Scena Del Film
Zoey Deutch e Guillaume Marbeck in una scena del film Nouvelle Vague

"Sono stato molto fortunato, in quegli anni gli Studios erano interessati a scoprire nuovi talenti. Oggi non più, gli importa solo fare grandi film. In generale è un gran momento per essere registi: la tecnologia permette di ottenere molto con pochi soldi, fare film è più facile, se ne fanno tantissimi ogni anno, ma il problema principale è trovare una distribuzione ed essere visti". L'ultimo pensiero è per la Nouvelle Vague celebrata dal suo ultimo film: "Ha rivoluzionato il modo di fare cinema, che non significava più fare grandi film commerciali, ma si avvicinava piuttosto a un'espressione di libertà e a una forma d'arte personale. Prima della Nouvelle Vague tutto doveva essere riconducibile a un genere o a una grande storia; con Godard e Truffaut invece si potevano fare film su qualsiasi cosa, sui tuoi amici, sulla tua infanzia, su un amore. I film non sono solo prodotti di consumo, ma un'arte in cui esprimersi".