Recensione Whiplash (2014)

Il secondo lungometraggio di Damien Chazelle non è solo un viaggio visivo all'interno della musica e dei suoi esecutori, ma soprattutto una esperienza fisica che coinvolge sensi e corpo in un crescendo di sensazioni

Quando si cita il ritmo all'interno di un'opera cinematografica, solitamente il riferimento è all'andamento narrativo o al tappeto musicale. Nel caso di Whiplash, però, questo elemento aggiuntivo esce dagli spazi definiti della tecnica per diventare parte fondamentale dell'intero film, capace, anche solo con un rullio di batteria di creare un'emozione sincopata che, in un crescendo costante, lascia alla fine della visione stravolti e appagati dalla fatica e dall'impatto emotivo.
In questo senso, dunque, l'opera seconda di Damien Chazelle non è solo un viaggio visivo all'interno della musica e dei suoi esecutori, ma soprattutto una esperienza fisica che coinvolge sensi e corpo in un crescendo di sensazioni.

Così, intorno al ritmo travolgente di Whiplash, brano storico nel jazz composto da Hank Levy e registrato da Don Ellis, Chazelle orchestra una storia di ricerca personale della melodia in cui la lotta e l'umiliazione sono parte integrante all'interno di una condizione estenuante chiamata passione. Perché a muovere i passi di Andrew, giovane batterista e studente di una prestigiosa accademia musicale di New York, è un cuore e una mente che batte esattamente allo stesso ritmo del suo strumento, impedendogli anche solo di immaginare una vita lontana dall'andamento sofferente e variabile del jazz. Quando la sua strada si intreccia con quella del professor Flechter, temuto insegnante che tiranneggia la sua orchestra formata da migliori elementi dell'accademia, Andrew arriva a sperimentare nuovi livelli di abnegazione, sacrificio e disperazione, dimostrando che quando un amore brucia dentro di te non esiste fatica o impedimento che ti possa fermare nella cieca e assoluta realizzazione di questo.

Il tormento e l'estasi

Whiplash: bacchette insanguinate in una scena del film
Whiplash: bacchette insanguinate in una scena del film

Nonostante il forte impianto musicale, Whiplash è soprattutto una storia concentrata sulla natura umana con lo scopo di tracciare una mappa, naturalmente parziale, dei limiti che un individuo più superare prima di arrivare all'auto distruzione. Per ottenere questo risultato Chazelle prende come escamotage narrativo un sentimento allo stesso tempo trainante e devastante come l'ossessione, con cui forgia, fino anche al deterioramento fisico, la volontà e i passi di Andrew. Un'esperimento cui si è sottoposto senza alcun limite il protagonista Miles Teller che, quasi in preda ad una furia esecutiva, ha messo a disposizione la sua propensione musicale mentre di Andrew abbraccia la cieca intenzione e la volontà al limite della follia. Il risultato è il sanguinamento, e non in senso lato. Perché nel costante ripetersi di un brano in cui la velocità e la precisione di esecuzione sono il banco di prova del talento, non rimane che sacrificare giorni, vita e sudore immolando al dio dell'arte anche e soprattutto le ferite fisiche, oltre che quelle emotive. Visto in quest'ottica, dunque, il personaggio di Andrew rappresenta una nuova immagine di eroe romantico il cui scopo è inseguire e sedurre la musica con una costanza assoluta. E il suo percorso non è certo meno comprensibile o condivisibile perché non diretto nei confronti di un elemento femminile. Perché, attraverso il suo volto, che porta ancora il riflesso di una giovinezza ingenua, filtra chiaramente il riflesso del bisogno che lo divora portandolo allo stesso tempo verso il tormento e l'estasi.

Duello all'ultima nota

Whiplash: l'urlo di J.K. Simmons stordisce Miles Teller in una scena del film
Whiplash: l'urlo di J.K. Simmons stordisce Miles Teller in una scena del film

Un buon film dovrebbe avere il pregio di non essere monocorde. Il che vuol dire scegliere uno spartito in cui i lenti, gli adagi e gli allegri si rincorrono per costruire una melodia complessa e affascinante. Sarà per il suo passato da studente di musica, ma Chazelle riesce proprio nell'intento di scrivere questo tipo di partitura, alternando i moventi più intimi dell'anima con uno scontro umano e di personalità che non risparmia ferocia e umorismo. Per questo motivo la struttura e le gestione del personaggio del professor Fletcher diventa immediatamente l'elemento cardine su cui costruire tutto l'impianto drammaturgico. Nell'animo di quest'uomo, a sua volta divorato dall'amore per la musica e dalla ricerca del talento unico da portare alla ribalta, vive una forte contraddizione che lo porta ad applicare metodi poco ortodossi all'interno di un "allenamento" forzato che poco sembra avere a che fare con l'esercizio musicale. In questo senso il volto di J.K. Simmons si porta perfettamente a rappresentare una ambiguità che il personaggio non gestisce certo con consapevolezza. Di fronte ai suoi occhi Andrew diventa la potenziale perla rara, la gemma grezza da portare alla luce ma, allo stesso tempo è il simbolo dei suoi limiti e della sua mancata occasione. Ed è proprio basandosi su questa duplicità che Chazelle costruisce il rapporto di amore e scontro con un mentore nemico ed ostile. Le sue armi sono l'umiliazione e la manipolazione psicologica. Tutte trappole in cui Andrew doverosamente cade fino a trovare finalmente il suo ritmo. Ma non pensate certo di trovarvi di fronte al classico film di crescita ed evoluzione personale con tanto di lieto fine zuccheroso e rassicurante. L'ultimo atto scritto da Chazelle prevede un vero e proprio duello all'ultima nota in cui si mette in gioco una sfida personale alimentata dall'orgoglio e dall'autodeterminazione di sè.

Conclusioni

Damien Chazelle ha realizzato un film dal forte impatto emotivo che, utilizzando la musica come co- protagonista, riesce a lasciare estenuantemente emozionati. Notevole, poi, lo scontro generazionale e personale tra J.K. Simmons e Miles Teller.

Movieplayer.it

4.0/5