Quando la tigre dorme
Lo credono figlio di un matematico, perché porta il nome con cui si indica il famigerato e ineffabile rapporto tra la circonferenza e il diametro di un cerchio, ovvero il pi greco, ma in realtà Pi Patel, diciassettenne originario di Pondicherry, India, deve il suo nome a un'elegante piscina all'aperto della Ville Lumière. Piscine Molitor è presto diventato Pi grazie alla tenace e ingegnosa reazione del ragazzo alle beffe e agli sfottò cui le assonanze di "Piscine" lo hanno inevitabilmente esposto a scuola; e così, tra le immagini esotiche di Pondicherry e del variopinto zoo gestito dal padre del nostro giovane eroe, le esplorazioni spirituali e sentimentali di quest'ultimo, nonché la sua "attrazione fatale" nei confronti del più affascinante ospite dello zoo, una tigre del Bengala dal bizzarro nome di Richard Parker, si compone un quadro introduttivo che ci prepara perfettamente al tempo che trascorreremo accanto a un giovane naufrago e al suo incredibile compagno di sventura, dispersi in mezzo all'oceano per 227 giorni. Ci prepara a quel formidabile spettacolo per gli occhi e a quell'indimenticabile parabola per l'anima che è il nuovo film di Ang Lee.
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Un protagonista incarnato con dedizione e talento dall'esordiente Suraj Sharma, a cui viene chiesta una prova fisica e mentale che comporta uno sforzo quasi pari a quello che è costato al regista taiwanese questo maestoso progetto; vorremmo avere lo spazio per parlare anche degli altri interpreti, dal serafico Irrfan Khan all'inquisitivo Rafe Spall, fino alla soave Tabu. Ma la vera co-star di Suraj è interamente CGI, e non è nemmeno umana. Richard Parker è uno dei più straordinari successi della tecnologia applicata al cinema, e Ang Lee e i suoi collaboratori non si sono risparmiati per rendere efficace questo ritratto, al punto che viene da gioire e da immalinconirsi al pensiero di cosa ci resterà dopo l'estinzione ormai imminente di un animale della bellezza e della potenza della tigre del Bengala.
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Ma sviscerare i temi di Vita di Pi in questa sede significherebbe adulterare la visione di un film che merita l'approccio di una mente sgombra, aperta e curiosa: c'è da notare tuttavia che il modo in cui la storia rivela la sua strana natura di "allegoria rovesciata" può rappresentare un anticlimax per la mancanza di drammatizzazione del finale; e, per qualcuno, potrà rappresentare persino una sorta di tradimento. Si può scegliere di vedere in questo un difetto cinematograficamente imperdonabile, e si può decidere di considerarlo uno scelta coraggiosa, ma è la scelta più fedele all'opera di Martel, e al suo insegnamento: le meraviglie, le imprese, i miracoli che ci si dispiegano davanti grazie alla possibilità di scegliere, alla possibilità di credere.
Movieplayer.it
4.0/5