Recensione Turbo (2013)

L'ultimo lavoro della Dreamworks, che racconta la curiosa storia di una lumaca da corsa, rappresenta un prodotto rivolto principalmente al pubblico più giovane, visivamente riuscito ma un po' esile dal punto di vista narrativo.

Chi va piano, va sano e va... a Indianapolis

Se le ultime opere della Dreamworks, Le 5 leggende ed I Croods, avevano confermato la tendenza dello studio statunitense a prediligere un'animazione più matura, in grado di offrire un intrattenimento che andasse oltre il suo pubblico naturale (quello più giovane), con Turbo ci si rivolge invece, di nuovo, al target più sicuro. Non è un caso, probabilmente, che il regista esordiente David Soren si sia "fatto le ossa" nelle produzioni più squisitamente commerciali tra quelle targate Dreamworks (era tra i doppiatori di Shark Tale e Madagascar 2, oltre che nel team degli sceneggiatori del primo): questo nuovo prodotto, che sfrutta una ben riprodotta iconografia automobilistica (già oggetto, con migliori risultati, dei due Cars della Pixar) punta a un intrattenimento più facile, che mette da parte le finezze di script e vuole coinvolgere innanzitutto i più piccoli, con un racconto schematico e leggibile.
La trama vede protagonista Theo, una piccola lumaca che ha il sogno, tenacemente coltivato, di diventare pilota di Formula 1. L'eroe del piccolo Theo è infatti Guy Gagne, pluripremiato pilota: la piccola lumaca, pensando alle sue gesta, non perde occasione di mettersi nei guai con la sua ossessione per la velocità, attirandosi la derisione di tutta la sua comunità e mettendo in imbarazzo suo fratello Chet. L'occasione, per Theo, arriva però dopo uno stranissimo incidente, che porta la lumaca all'interno del carburatore di un'auto clandestina, e le conferisce magicamente il dono della velocità: catturato, insieme a suo fratello, dal bizzarro Tito, giovane ristoratore messicano, Theo convince il ragazzo a viaggiare fino a Indianapolis per iscriverlo alla prestigiosa corsa; qui, divenuta ormai Turbo, la lumaca potrà gareggiare con il suo eroe Guy Gagne.


Se i primi minuti di Turbo si rivelano divertenti e riusciti, con la descrizione della vita della comunità di lumache e dei suoi rituali quotidiani, nella seconda parte il film sbanda (letteralmente) verso un intrattenimento di grana più grossa, in cui la coerenza dello script diventa una variabile accessoria. Funziona abbastanza bene, infatti, l'apertura del film, con la descrizione della solitudine di Theo e del suo carattere da sognatore, contrapposto alla rude concretezza della società di cui fa parte: il lavoro quotidiano all'interno della coltivazione di pomodori, con i suoi simpatici "incidenti", rispecchia in modo semplice ed efficace la routine dell'organizzazione del lavoro umano; così come funziona l'emergere del carattere ribelle del protagonista, che lo porta a sfidare, oltre alla sua stessa natura, i pericoli (il tagliaerbe, il bambino sadico che schiaccia le lumache) a cui i suoi simili hanno già opposto le loro contromisure. Tutto già visto e codificato, nella logica di una "sfida alla natura" già vista in titoli quali il citato Shark Tale, oltre che (in senso lato) in classici come i vari Shrek; ma, comunque, funzionale alla delineazione del setting in cui l'esistenza del protagonista è calata. Successivamente, tuttavia, lo script (opera, oltre che dello stesso Soren, di Darren Lemke e Robert D. Siegel: il secondo fu persino sceneggiatore del premiato The Wrestler) accelera indebitamente verso il suo obiettivo finale (la gara di Indianapolis) mettendo da parte la coerenza e la graduale costruzione di un climax. Appena abbozzati i rapporti dei due piccoli protagonisti con i due fratelli umani (e fin troppo schematico il parallelo tra le due situazioni), affrettati gli sviluppi e poco convincente la progressione narrativa: una volta rinunciato (di fatto) a raccontare una storia, al film resta l'aspetto più propriamente spettacolare.

Quest'ultimo, va detto, funziona ancora una volta decisamente bene: con una serie di riuscite sequenze d'azione, di cui la corsa finale rappresenta solo il culmine, e un buon uso del 3D, che tuttavia si rivela anch'esso più efficace nella prima parte, quando riesce a donare profondità al mondo del piccolo protagonista. La messa da parte, col procedere della storia, dell'approfondimento psicologico, e di una costruzione narrativa propriamente detta, fa però del pubblico più giovane il target naturale di questo Turbo: lo spettatore adulto, moderatamente intrattenuto dalla prima parte, alla fine fatica non poco a trovare intrigante (nonché credibile) la vicenda di una lumaca che va a correre a Indianapolis. Il cinema d'animazione, compreso quello più recente, è riuscito in passato a rendere attraenti, e soprattutto appetibili per un pubblico di tutte le età, vicende ancor più improbabili: merito di sceneggiatori che ne hanno saputo trattare e (in parte) trasformare la materia, traendone storie universali. Se si resta alla produzione Dreamworks, e soprattutto ai suoi già ricordati, ultimi titoli, un film come questo rappresenta un piccolo passo indietro: forse inevitabile, dato il volume e il ritmo della produzione stessa (per il prossimo anno sono attesi ben tre titoli, tra cui il sequel del riuscito Dragon Trainer) ma comunque abbastanza evidente. Nell'attesa di un 2014 in cui, ancora una volta, la produzione d'animazione giocherà un ruolo fondamentale, Turbo rappresenta comunque un discreto prodotto d'intrattenimento, pur se più leggero e immediato; inevitabilmente, comunque, relegato già a titolo "minore" tra quelli sfornati dall'etichetta statunitense.

Movieplayer.it

3.0/5