Per cancellare guerre, morte, desolazione e povertà, la soluzione sembra essere una sola. Impedire agli uomini di scegliere. Se si lascia alle persone questa possibilità, intraprenderanno sempre la strada sbagliata. Nella società perfetta in cui vive Jonas, dunque, tutto è prestabilito nei minimi dettagli. Ogni famiglia ha due figli, un maschio ed una femmina, i sentimenti sono banditi, anzi vengono cancellati con un'iniezione quotidiana, si deve usare un linguaggio appropriato per comunicare, e per appropriato si intende logico e razionale, il destino di ognuno è stato già scelto e codificato e il consesso degli anziani, guidato dall'anziana suprema, si preoccupa di attribuire a ciascuno la giusta attività da svolgere per il resto della vita.
Nella tradizionale cerimonia di assegnazione dei compiti, Jonas scopre di essere un accoglitore, colui che conserva la memoria degli esseri umani, l'unico in grado di accedere al passato, di conoscere non solo la storia, ma soprattutto i sentimenti che hanno contraddistinto la nostra specie. Divenuto discepolo del donatore, Jonas scopre con somma sorpresa che la splendente perfezione della sua città non è altro che il riflesso di un pensiero violento che ha privato gli uomini della loro essenza, portandoli, tra le altre atrocità, ad uccidere le creature non idonee a quella vita e ad essere degli automi senza cuore. Spinto dallo stesso donatore, decide di mettere a frutto le sue capacità per varcare i confini conosciuti del regno e permettere alla memoria di tornare al suo posto.
La storia di Jonas
Ci sono voluti circa vent'anni per portare sul grande schermo il romanzo fantascientifico di Lois Lowry, Il mondo di Jonas, primo capitolo di una quadrilogia di grandissimo successo (composta da La rivincita - Gathering Blue, Il messaggero e Il figlio); deus ex machina dell'operazione è stato Jeff Bridges che acquistò i diritti del libro con l'intenzione di far recitare il padre Lloyd nel ruolo che poi è stato assegnato a lui. Al di là delle normali procedure che anticipano la produzione di un ipotetico blockbuster, si capisce per quale motivo sia trascorso così tanto tempo per vedere un adattamento cinematografico dall'opera letteraria della Lowry; le rotelle dell'ingranaggio dovevano andare tutte a posto.
Serviva uno sceneggiatore in grado di liberare i contenuti profondi della storia - la scelta è caduta sulla coppia formata dal quasi debuttante Michael Mitnick e da Robert B. Weide (produttore esecutivo di Curb your enthusiasm) - un gruppo di attori riconoscibili dal grande pubblico, ecco spiegata la presenza di Meryl Streep, Katie Holmes e Alexander Skarsgård, e un giovane protagonista dalla faccia pulita, pronto a cogliere l'occasione per fare il grande salto, ovvero Brenton Thwaites. Al timone di questa nave, un regista senza attitudini da primadonna, l'australiano Phillip Noyce (Ore 10: calma piatta, Giochi di potere, Sliver). Difficile che un simile lavoro potesse portare ad un risultato memorabile.
Protagonista a chi?
Il primo dubbio che ci assale al termine della visione di The Giver - Il mondo di Jonas è se siamo riusciti a cogliere sul serio chi sia il vero protagonista della storia. Per intuizione, instradati dal titolo, dovremmo pensare che a ricoprire il ruolo sia il donatore, ovvero Jeff Bridges, ultimo baluardo della memoria umana, custode dei più reconditi segreti della vita, e il suo discepolo. Naturalmente non siamo così sprovveduti da pensare che un'opera smaccatamente indirizzata ad un pubblico young adult possa svilupparsi su di un personaggio che non permette ai giovani spettatori alcuna identificazione, ma certo sarebbe stato lecito aspettarsi dal film una sorte migliore per questa figura ridotta a quella di un vecchio saggio dalla cultura enciclopedica, in soldoni un elemento che poco incide sullo sviluppo della narrazione.
E anche sull'altro protagonista, più vecchio rispetto al dodicenne del romanzo della Lowry, quel tanto che basta per sfruttare il fattore romantico, si potrebbero avanzare dei dubbi, visto che Jonas scopre la sua diversità alla fine dell'adolescenza, ma senza patire i turbamenti e le incertezze che un simile passaggio comporta. Persa tra due eroi che di eroico hanno poco, la pellicola di Noyce si barcamena incerta tra il racconto di formazione (molto contratto e per nulla problematico) e la dissertazione filosofica, piuttosto fumosa, sui limiti dell'arbitrio umano. E' giusto togliere agli uomini la libertà di scegliere, anche la via sbagliata, in nome di un ordine costituito mortifero e degradante? La risposta non può che essere negativa.
Ho perso la memoria
Il film di Noyce, come certa letteratura da best-seller, punta all'immediata comprensione e quindi tende a veicolare il suo messaggio in maniera molto semplice. Di per sé questo non sarebbe un difetto, tranne quando questa essenzialità non diventa ingenuità, o peggio superficialità. La sua regia non svetta per soluzioni registiche d'avanguardia, appesantita oltretutto da un cast piuttosto soporifero. Il regista vuole arrivare al sodo e farlo nel più breve tempo possibile, sfruttando un paio di appigli intriganti, come il gioco sul bianco e nero, che pian piano si colora, seguendo la maturazione di Jonas, e portando noi spettatori a vedere il mondo come il protagonista. Una trovata che se da un lato crea un legame con il personaggio principale, dall'altro uccide ogni pathos, poiché sappiamo già cosa attenderci.
La storia, quindi, tenta di trasmettere un pensiero importante, ovvero quanto sia sostanziale la forza della memoria, dei sentimenti umani, dei sogni; tuttavia questo nucleo poteva e doveva essere spiegato meglio, anche perché se le emozioni, le memorie che devono salvarci, sono rappresentate come uno spot del National Geographic Channel, con identico montaggio e con lo stesso uso della musica, c'è un problema di fondo che il film non è riuscito a risolvere. Come può la memoria essere così perfetta e strutturata? Se la logica tutto appiana e tutto incasella in compartimenti stagni, ciò che Noyce propone non è diverso da questo, ma solo un po' più colorato.
Conclusione
Questo film non rappresenta, a nostro parere, un vero pericolo, la sua innocuità di fondo non lo rende nemmeno così dannoso; ci chiediamo quanto ancora debba essere sfruttato il filone del racconto distopico per adolescenti, che, tranne qualche eccezione, non ha mai riservato riflessioni imprescindibili sulla vita, producendo al contrario opere poco significative e alquanto stereotipate. Nascondere dietro alla narrazione di un futuro aberrante le storture e le deviazioni di un presente che continua a proporci domande a cui è difficile rispondere, è arte sublime. Per realizzarla servirebbe uno sguardo maturo, acuto, quella capacità di vedere oltre, per citare uno dei temi di The Giver - Il mondo di Jonas, che Phillip Noyce non sembra possedere.
Movieplayer.it
2.0/5