"Produrre è una grande responsabilità" e non è un caso se per il loro primo film da produttori la scelta sia ricaduta su The End? L'inferno fuori, un horror di qualità che andrà a rimpinguare l'estate cinematografica delle nostre sale. Con la loro Mompracem (nata nel 2010), nome fortemente simbolico che evoca "un'isola di pirati dentro un dominio straniero per perseguire l'idea di fare un cinema nostro, personale, diverso", i Manetti Bros. portano definitivamente a compimento un'idea di cinema indipendente capace di indicare nuovi percorsi e riaffermare quel 'genere' di cui l'Italia è rimasta orfana, se non fosse per rari e sparuti atti di coraggio produttivo.
Per The end? L'inferno fuori i Manetti non amano parlare di azione coraggiosa, perché, dicono "avevamo la certezza di puntare su qualcosa di giusto".
E a giudicare dal risultato non si sbagliavano: interpretato da Alessandro Roja (in scena per un'ora e mezza quasi completamente solo) The End? L'inferno fuori segue le regole classiche dello zombie movie violento, sanguinario, spaventoso e le fa proprie. Sullo sfondo non troveremo Manhattan ma Roma, stretta nella morsa di una follia generale, vittima di un virus che si diffonde repentinamente e che trasforma le persone in zombie.
In questo scenario di morti viventi, fiumi di sangue e gambe mozzate l'intuizione del regista Daniele Misischia è quella di chiudere in ascensore un cinico uomo d'affari, Claudio (Roja), che rimarrà bloccato tra due piani per una giornata intera mentre attorno a lui imperversa qualcosa di disumano e aberrante.
Gli zombie arrivano a Roma tra citazioni e apocalisse
A Daniele Misischia i registi di Ammore e malavita, trionfatore agli scorsi David di Donatello, ci sono arrivati dopo aver visto un suo fan movie Resident Evil: Underground, premiato al Fi-Pi-Li Festival di Livorno. Da allora per tre anni Misischia ha lavorato al loro fianco come operatore e regista di seconda unità, fino a The End? L'inferno fuori appunto, il suo debutto al lungometraggio. Un horror che è la dimostrazione di come il linguaggio di genere possa essere usato anche in Italia e con sorprendente coerenza e originalità, resuscitando una gloriosa tradizione.
Nel film le citazioni di capisaldi del filone zombesco si mescolano a una serie di suggestioni inconsce: quelle che arrivano dallo stesso cinema dei Manetti (l'ascensore in cui è prigioniero Claudio fa tornare in mente quello di Piano 17), o le influenze che invece provengono dal panorama internazionale (l'angusto abitacolo dalle pareti metalliche richiama la bara nella quale si ritrova il protagonista di Buried - Sepolto di Rodrigo Cortéz). Voluti sono invece gli omaggi a George Romero, fino ad una scena conclusiva che è un esplicito tributo al finale di uno dei suoi più film famosi.
The End? L'inferno fuori non si sottrae neanche alla regola secondo cui ogni horror ha un sottotesto politico: l'altra protagonista è infatti la Roma desolata, cannibalizzata, deturpata e caotica delle cronache più recenti. Così una giornata di ordinaria follia romana acquista lentamente i tratti dell'apocalisse, quella che senza bisogno di ricorrere a effetti speciali o a presenze inquietanti forse è già in atto.
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Alessandro Roja a caccia di morti viventi
C'è nel film un intento di regia chiaro e preciso, evidente in ogni scelta persino nella maniacale cura di alcuni particolari: l'effetto violento del rinculo di un'arma da fuoco sul corpo di chi la usa per la prima volta, la polvere da sparo ad ogni colpo di pistola.
Lo spettatore vive l' inferno fuori del titolo attraverso ciò che il protagonista vedrà attraverso le porte dell'ascensore aperte per metà. E per quasi un'ora e mezza si ritroverà insieme a Claudio (Alessandro Roja) isolato dal mondo esterno (se non fosse per un cellulare) a fronteggiare i ripetuti e improvvisi attacchi degli infetti, prima con una sbarra metallica divelta, poi con una pistola e infine a colpi di fucile. L'unità di tempo, luogo e azione alza l'asticella e costringe il pubblico a vivere nello spazio claustrofobico di quei pochi metri quadrati che diventeranno in un crescendo di suspense, gabbia e rifugio insieme, oltre che punto di vista privilegiato sul mondo esterno.
Il resto lo fa l'interpretazione di Roja che lì dentro ci ha passato tantissimo tempo, sempre in campo e convinto sin dall'inizio insieme al resto della squadra dell'idea di dover girare quanto più possibile in sequenza. Credibile dal primo all'ultimo fotogramma nell'interpretare un uomo sulla via della redenzione. Perché The End? L'inferno fuori è anche la storia della ricerca di se stessi.
Movieplayer.it
3.5/5