Kreuzweg: la guerriera di Dio

Il film ci emoziona nel profondo per il modo diretto di affondare le mani in una materia spinosa e delicata, senza mai rinunciare al proprio punto di vista e ad una critica feroce.

Maria è una quattordicenne che vive in una famiglia di cattolici integralisti. Essere una buona cristiana per lei non è soltanto un modo di dire, ma un modo preciso di stare al mondo, rifuggendo il peccato e cercando di agire sempre per il bene di tutti. Lo apprende giorno dopo giorno nelle lezioni di catechismo in vista della Cresima, dei piccoli seminari in cui Padre Weber istruisce lei e i suoi compagni di corso a essere dei 'guerrieri di Cristo', in perenne battaglia contro la musica del diavolo, i desideri del corpo e la vanità.

Kreuzweg - Le stazioni della fede: Franziska Weisz, Lucie Aron, Linus Fluhr, Lea van Acken e Michael Kamp in una scena
Kreuzweg - Le stazioni della fede: Franziska Weisz, Lucie Aron, Linus Fluhr, Lea van Acken e Michael Kamp in una scena

Affascinata da questo progetto di vita, Maria decide di sacrificarsi, di donare cioè la propria esistenza al Signore, per salvare il fratellino dalla malattia che lo affligge da tempo. Nella sua testa, cioè, si fa largo il pensiero di poter essere davvero d'aiuto, immolandosi a Dio. Rifiuta il cibo, non si cura quando si ammala e allontana da sé un ragazzino, Christian, che le fa battere il cuore in maniera nuova e che proprio per questo può solo portarla a peccare. Sempre più debole, attaccata da una madre che non comprende la reale situazione della figlia, Maria si spegne lentamente.

Piena di grazia

Colpisce dritto al cuore, Kreuzweg - Le stazioni della fede, lungometraggio diretto da Dietrich Brüggemann, presentato in concorso al 64.mo Festival di Berlino. Ci emoziona nel profondo non perché accenda i riflettori su una storia patetica che ha per protagonista una ragazzina, la bravissima Lea Van Acken, ma per il modo diretto di affondare le mani in una materia spinosa e delicata, senza mai rinunciare al proprio punto di vista e ad una critica feroce. L'opera si presenta come uno straordinario atto d'accusa contro la violenza della religione o meglio contro un certo modo di vivere la religione. Senza toni urlati, con una distanza che non è mai glaciale, il regista ci spinge a seguire il lento distacco da sé stessa della protagonista, una ragazzina che rinuncia letteralmente a tutto, nel nome di un pensiero religioso che ne ha permeato la vita nel profondo. Non è un pamphlet politico, né un film a tesi, non attacca la Chiesa come istituzione e non istruisce il pubblico portandolo dalla propria parte, ma spinge a provare empatia per Maria, mostrandoci con chiarezza le dinamiche che l'hanno portata a scegliere un sacrificio troppo grande, disumano.

14 piccoli film su Maria

La regia di Brüggemann è di assoluto livello e riesce a valorizzare appieno la profondità di una sceneggiatura che appare dolorosamente realistica; l'autore decide quindi di narrare la storia di Maria attraverso quattordici tableaux che prendono il nome appunto dalle stazioni della Via Crucis. Ad interessarci non è tanto il parallelo tra il calvario di Gesù e quello della ragazzina, quanto l'ineluttabilità della storia, che in questa forma particolare diventa ancor più insostenibile. La macchina da presa è sempre statica, tranne in tre momenti chiave della vicenda, quando il movimento nello spazio della cinepresa serve a sottolineare i punti più tragici del percorso della protagonista.

Onora il padre e la madre

Kreuzweg - Le stazioni della fede: Lea van Acken con Franziska Weisz e Ramin Yazdani in una scena del film
Kreuzweg - Le stazioni della fede: Lea van Acken con Franziska Weisz e Ramin Yazdani in una scena del film

Molte volte durante la visione del film ci siamo chiesti perché Maria non abbia sentito la necessità di liberarsi da quella schiavitù; in un mondo ideale questa sarebbe stata la giusta conclusione di una vicenda desolante, ma nell'universo in cui vive Maria, in un contesto familiare retrogrado e annichilente, probabilmente non ci si poteva attendere altro. Ed è questo uno degli elementi narrativi più interessanti del film, ossia l'analisi impietosa del rapporto che lega la piccola ai due genitori ed in particolare alla madre, una donna mostruosamente anaffettiva che riversa sulla figlia rabbia e frustrazioni. Figura genitoriale non contestata, la madre è il contraltare agghiacciante di un padre quasi sempre muto (parla solo per dare indicazioni di poco conto), rassegnato, incapace di salvaguardare il benessere di Maria. E' Padre Weber a prenderne il posto, ma il prete da una parte (interpretato da un bravo Florian Stetter) e la madre dall'altra (l'eccellente Franziska Weis), sono entrambi sordi alle esigenze reali di una giovane donna che cresce e che viene colpita, ovviamente, nel corpo.

Movieplayer.it

4.0/5