Recensione Senza nessuna pietà (2014)

Senza nessuna pietà trasfigura la Roma che conosciamo privandola dei tratti distintivi e rappresentandola come una metropoli anonima. Una perferia sterminata come tante in cui si muovono personaggi feroci, dotati di famelici appetiti economici e sessuali.

La criminalità organizzata sembra essere uno dei temi che accomunano le pellicole italiane presenti in questa 71° edizione della Mostra di Venezia. Mentre il concorso ci ha regalato la visione di Anime nere di Francesco Munzi, Orizzonti ospita l'esordio alla regia di Michele Alhaique, il noir Senza nessuna pietà.

L'attore, da tempo dedito alla regia di corti, spicca il grande salto con un crime cupo e violento interpretato da una delle star più fulgide del panorama italiano, Pierfrancesco Favino, che del film è anche produttore. La straordinaria perfomance di Favino aiuta a dimenticare i difetti del film che è ben confezionato, ma soffre di qualche vuoto di sceneggiatura. Il personaggio cucitogli addosso è decisamente affascinante. Mimmo è un gigante buono, un uomo mite prigioniero di un fisico imponente. Quando facciamo la sua conoscenza lo vediamo costretto a usare la propria forza per torchiare coloro che hanno contratto debiti con la sua famiglia.

Quest'omone taciturno, quasi autistico, esegue gli ordini dello zio (Ninetto Davoli), boss della periferia romana, e del violento cugino (Adriano Giannini), anche se non ne condivide i metodi. Per dar vita a Mimmo, Pierfrancesco Favino è ingrassato venti chili, ha ingrigito barba e capelli, ma soprattutto ha fatto un lavoro di immedesimazione che lo rende credibile anche nei momenti più eccessivi. La cinepresa gli si incolla addosso, ne ruba i sofferti primi piani, i movimenti pesanti, e man mano che il film avanza crea una poetica di Mimmo, ne svela il codice morale, le fragilità, il coraggio e, a sorpresa, il romanticismo.

Roma criminale

Un intenso primo piano di Pierfrancesco Favino in Senza nessuna pietà - foto esclusiva
Un intenso primo piano di Pierfrancesco Favino in Senza nessuna pietà - foto esclusiva

Senza nessuna pietà trasfigura la Roma che conosciamo privandola dei tratti distintivi e rappresentandola come una metropoli anonima. Una perferia sterminata come tante in cui si muovono personaggi feroci, dotati di famelici appetiti economici e sessuali. Quella messa in scena da Michele Alhaique è una realtà a tinte forti dominata da figure bieche, a tratti perfino disumane, che sfruttano Mimmo per la sua forza fisica, ma non conoscono il rispetto. Al momento in cui il corpo estraneo Tania (una Greta Scarano bionda per l'occasione), ingenua escort di provincia, scardina questo sistema gerarchico, Mimmo comincia a sviluppare un'affezione nei confronti della donna che lo porterà a ribellarsi e a reagire. E' interessante vedere come Michele Alhaique sta addosso al suo personaggio raccontandone il cambiamento psicologico, l'evoluzione espressa dalla recitazione interiorizzata di Favino, dal cui volto traspare tutto ciò che il suo personaggio tace. Il suo Mimmo inchioda il pubblico alla sedia con le sue improvvise esplosioni di violenza, ma al tempo stesso lo intenerisce lasciando trasparire la fragilità e la tenerezza che si nascondono dietro il suo aspetto massiccio.

Un noir sporco all'italiana, ma del respiro internazionale

Pierfrancesco Favino in Senza nessuna pietà, foto in esclusiva
Pierfrancesco Favino in Senza nessuna pietà, foto in esclusiva

Cimentandosi con il genere, Michele Alhaique non nasconde l'influenza dei modelli più diretti come Romanzo criminale e Gomorra - La Serie, ma la scelta di premere sul pedale della violenza, improvvisa e spiazzante, indugiando su dettagli truculenti, rivela influssi internazionali. A partire dall'incipit nel garage in cui la banda si reca per riscuotere il pizzo, traspare l'eco di una filiazione al noir americano o addirittura a quello orientale. L'esibizione del sangue a tutti i costi fa salire la posta in gioco, sbilanciando la storia che alterna momenti di concitazione visiva e improvvise accelerazioni a pause liriche, vuoti riflessivi che contrastano con la durezza del prodotto. Nelle immagini composte da Alhaique traspare l'urgenza di una ricerca estetica che elevi il prodotto dalla media e il risultato visivo risponde alle ambizioni.

Respiro internazionale nel look e concretezza italiana nelle rughe del capoclan interpretato da Ninetto Davoli e nello spietato Roscio, braccio armato della banda interpretato da un Claudio Gioè rasato e irriconoscibile, arricchiscono una pellicola a tratti disomogenea che spiazza per alcuni eccessi di sceneggiatura. La scelta del regista di operare per sottrazione è saggia, ma alcuni momenti di brutalità manifesta, soprattutto nella seconda parte del film, suonano come gratuiti e i cliché del genere si affastellano rischiando indebolire l'incisività del lavoro.

Conclusioni

Pierfrancesco Favino è l'anima e il sangue di un noir all'italiana ben confezionato e costellato da buone interpretazioni, che soffre per una sceneggiatura sbilanciata in direzione dei personaggi più che dell'azione e per qualche cliché di troppo.

Movieplayer.it

2.5/5