Recensione Rigor Mortis (2013)

Juno Mak, attore e star del pop hongkonghese, esordisce alla regia con un film che omaggia la tradizione del Geung Si ('vampiri volanti') locale, contaminandolo con forti elementi del filone del J-Horror.

Morti senza rigore

Siu-ho è un attore caduto in disgrazia, da tempo in crisi artistica e familiare, che cerca di recuperare la tranquillità trasferendosi in un vecchio e fatiscente edificio. L'uomo prende in affitto una stanza, la 2442, su cui circolano un gran numero di leggende, legate a un fatto di sangue che vi sarebbe accaduto anni prima. Influenzato dall'atmosfera del luogo, Siu-ho tenta il suicidio appena stabilitovisi; ma viene salvato in extremis da un misterioso monaco taoista. Mentre l'ex attore compie il suo tentativo, visioni e presenze spaventose si manifestano; il monaco gli spiega che la stanza è stata teatro di un omicidio-suicidio, e che le anime inquiete delle vittime stanno ancora reclamando vendetta. Nel frattempo, però, altri fatti inquietanti iniziano a verificarsi nello stabile: un bambino e una ragazza silenziosa sembrano vagare senza meta per i suoi corridoi, un'anziana signora tiene una bara vuota nel centro del suo appartamento, un inquilino scompare misteriosamente senza lasciare traccia di sé.

Il genere noto come Geung Si, storie di vampiri mescolate con elementi di commedia e action movie, viene esplicitamente omaggiato dall'attore-cantante hongkonghese Juno Mak in questo Rigor Mortis, suo esordio dietro la macchina da presa. Mak, che per l'occasione ha riunito alcuni dei protagonisti della serie di culto Mr. Vampire, declina in realtà il genere in una chiave più adeguata ai tempi, inserendovi chiari elementi da J-Horror: a cominciare dall'ambientazione, con l'enorme palazzo in cui si svolge l'azione che ricorda da vicino quelli frequentati da tanti inquieti spiriti provenienti dal Sol Levante, dalla bambina di Dark Water alle presenze del recente The Complex, sempre diretto da Hideo Nakata. Ma anche l'iconografia, parte delle atmosfere che si respirano nel film, il motivo del fatto di sangue sepolto nel passato, tradiscono un chiaro debito con le opere che diedero lustro all'horror nipponico: ciò non deve stupire, d'altronde, se si pensa che a co-produrre il film c'è una figura chiave di quella scena, il Takashi Shimizu dei vari Ju-On: Rancore.
Il neo-regista, tuttavia, ha in mente un'opera "spuria" e contaminata, come da tradizione del cinema a cui appartiene: così, unisce ai motivi delle ghost story giapponesi (e non solo) quelli dell'horror-fantasy locale (genere già di per sé "di confine") facendone risultare un insieme affascinante, anche se non sempre equilibrato. Colpisce, sicuramente, vedere una classica sequenza simil-Ringu, con annessi fantasmi con capelli lunghi sul volto, terminare con un combattimento di arti marziali; o la disinvoltura con cui si passa da un'atmosfera lugubre e claustrofobica ad una in cui prevalgono le accelerazioni grottesche, e gli eccessi visivi, tipici del cinema della ex colonia. Mak sembra voler infilare nel film tutto il cinema che conosce ed ama, confezionando un esordio che tuttavia, in troppi punti, appare confuso e disarmonico. I diversi registri dello script non sembrano amalgamati al meglio, mentre troppi punti della trama (pur sulla carta intrigante) appaiono poco chiari.
Nonostante le intenzioni del regista, che ha dichiarato di voler omaggiare, principalmente, il filone del Geung Si, Rigor Mortis appare innanzitutto come una classica ghost story: ed è quella, inevitabilmente, l'ottica attraverso la quale lo spettatore vi si approccia. Gli elementi più eterogenei, tra cui i frammenti sparsi di commedia e le derive verso il genere vampiresco locale, non vengono quasi mai inseriti al meglio nel tessuto narrativo: l'impressione che resta è quella del classico horror orientale con alcuni momenti (troppi) fuori tono e fuori contesto. Tuttavia, la fantasia e il talento non sembrano mancare al giovane Mak, che dimostra di possedere un solido background cinematografico e la capacità di mettere in scena singole sequenze (che il loro scopo sia spaventare o semplicemente sorprendere) molto efficaci. Manca, per ora, la capacità di amalgamare il tutto in un insieme coerente, nonché (principalmente) una sceneggiatura che sappia valorizzare il suo talento visivo. Ma per questo, forse, è solo questione di tempo.

Movieplayer.it

3.0/5