Che il Pasolini di Abel Ferrara, tra i film in assoluto più attesi di questa 71. Mostra del Cinema di Venezia, avrebbe fatto discutere lo sapevamo già da tempo, d'altronde qualche settimana fa il regista italo-americano aveva dichiarato (anche se proprio qui a Venezia avrebbe già ritrattato) di essere a conoscenza della vera identità dell'assassino dell'indimenticato scrittore, poeta e regista Pier Paolo Pasolini.
Ma, diciamolo fin da subito, quello che di certo non troverete in questo film sono nuove teorie o nuovi indizi che possano far luce sulle (poche) ombre ancora rimaste su quella tragica notte del 2 novembre 1975: anzi, Ferrara si basa evidentemente su quanto dichiarato dallo stesso Pino Pelosi (unico condannato nel processo del 1976) circa dieci anni fa in un'intervista Rai, ovvero che non fosse lui il vero assassino ma altre tre persone presenti quella notte all'idroscalo di Ostia.
"L'arte narrativa, come voi ben sapete, è morta"
Questo Pasolini, quindi, non è un giallo, non è un poliziesco e nemmeno vuole essere un documentario, visto che gli amici e colleghi dell'epoca quali Ninetto Davoli o Adriana Asti vengono utilizzati da Ferrara come attori e mai come testimoni; il film non è nemmeno un biopic visto che racconta solo le ultime 48 ore dello scrittore e nulla sulle sue origini o sulla sua carriera né tantomeno un'opera che possa raccontarne o racchiuderne la sua poetica.
Uno dei (tanti) problemi del film di Ferrara è proprio in questo suo essere un ibrido, nel non essere in grado di offrire nulla di nuovo a chi l'argomento Pasolini lo conosce già bene, e nel non voler nemmeno tentare di iniziare alle sue opere e alla sua vita eventuali spettatori "vergini". In poche parole, il film non spiega nulla o quasi di Pier Paolo Pasolini, non presenta i personaggi che gli sono intorno né i loro ruoli, non contestualizza né motiva le dichiarazioni che lo stesso Pasolini aveva fatto in quell'ultimo giorno al giornalista Furio Colombo per La stampa (ovvero che sarebbe stata la sua ultima intervista) o tantomeno quanto inviato via lettera a Moravia insieme al manoscritto del suo nuovo libro, l'incompiuto Petrolio.
"Non un racconto, ma una parabola"
A dirla tutta anche il titolo Petrolio non viene mai nemmeno citato, così come quello dell'altro progetto mai completato, il film Porno-Teo-Kolossal, eppure Ferrara ha il coraggio e la sfacciataggine di riprodurne alcuni brani in immagini, cercando di ricopiarne lo stile, facendo perfino scelte di casting (come lo stesso Davoli che interpreta il ruolo che forse sarebbe potuto andare addirittura a Eduardo De Filippo) azzardate e re-immaginando ai tempi d'oggi la storia del Re Mago che vede una stella cadente e la segue alla ricerca del Messia attraversando la città di Sodoma, equamente divisa tra gay e lesbiche che si riuniscono solo una volta all'anno per riprodursi.
L'intento di Ferrara è chiaro, nel riprodurre gli ultimi giorni del suo Maestro vuole il più possibile avvicinarsi alla filosofia e alla poetica del suo ultimo periodo e lo fa utilizzando proprio lo stile "pasticciato" e disomogeneo di quelle opere mai realizzate, ma il problema è che per quanto possa essere considerato anche un affettuoso e sentito omaggio, anche il suo di film difficilmente si eleva mai oltre il limite dell'incompleto.
Un'impressione che viene in un certo senso confermata anche dalla scelta straniante, e francamente molto poco felice, dell'ambiguità linguistica: Willem Dafoe ogni tanto parla qualche parola di italiano ma in realtà la maggior parte dei suoi dialoghi sono in inglese, mentre i voiceover pasoliniani sono nella nostra lingua e letti da Luca Lionello; tutti gli altri attori, anche volti noti del cinema nostrano come Valerio Mastandrea o Giada Colagrande, recitano in inglese quando sono in scena con Dafoe e in italiano con gli altri; per finire, le parti oniriche, ovvero le ricostruzioni delle due opere che citavamo sopra, sono completamente in italiano. Ovviamente tutto questo sarà "risolto" dal doppiaggio quando il film arriverà nelle sale italiane, ma ciò non toglie che l'impatto festivaliero non è stato assolutamente dei migliori.
Conclusione
Il film di Ferrara è un ambizioso, e vogliamo credere sincero, pasticcio, che ha tanti difetti e pochissimi pregi. Tra questi ultimi c'è il tentativo (non sempre riuscito) di dare vita alle opere di Pier Paolo Pasolini che non hanno mai raggiunto il suo pubblico, e bisogna ammettere che un paio di momenti più poetici ci sono. Ma sul film grava soprattutto il difetto di non riuscire praticamente mai a far credere che quello che davanti ai nostri occhi sia il regista di Il vangelo secondo Matteo; non è certamente colpa di Dafoe che avrebbe anche il phisique du role e il talento necessari, ma di una sceneggiatura e di una regia che non riescono mai ad elevare un progetto probabilmente già sbagliato in partenza.
Movieplayer.it
2.0/5