Recensione Il fuoco della vendetta (2013)

Il secondo film del regista Scott Cooper, che con Crazy Heart aveva regalato l'Oscar a Jeff Bridges, presentato in concorso a Roma, è una lenta e dolente ballata, ambientata nella depressa provincia americana ai tempi della crisi. Un film più riuscito nelle suggestioni e nelle atmosfere che crea che nella storia poco originale, nobilitato però da un grandissimo cast.

All'ombra della fornace

Da un televisore scassato sulla parete del bar dove Russell (Christian Bale) sta scolando l'ultima birra mentre aspetta invano il fratello Rodney (Casey Affleck), un senatore, uno qualunque dei grandi elettori del congresso, invita a credere nella ripresa economica, invita a votare Barack Obama: lo scenario è quello della cupa e depressa provincia americana, da qualche parte in Pennsylvania, tra Pittsburgh e i monti Appalachi, una provincia fiaccata come tutto il paese dalla peggior crisi economica del dopoguerra, che annaspa come i suoi abitanti nel tentativo di non soccombere e di credere alla speranza di un futuro migliore.

Russell lavora come operaio nella fabbrica locale che non offre prospettive, accudisce il padre malato terminale, paga i debiti del problematico fratello, non smette di credere nel futuro e prova a vivere una vita dignitosa sognando un giorno una vita migliore con la fidanzata Lena (Zoe Saldana). Rodney invece è uno dei tanti reduci dalla guerra in Iraq, simbolo di una generazione sconfitta, disperato e animato da una spinta irrazionale e autodistruttiva che lo spinge a battersi in incontri di boxe clandestina organizzati dal losco John Petty (Willem Dafoe).

In seguito ad un fatale incidente dove rimangono uccisi una donna e un bambino, Russell finisce in prigione e la sua vita va in pezzi. Nonostante questo, tornato un uomo libero, cerca di riprende caparbio il proprio cammino, anche se Lena ha cominciato una nuova vita con lo sceriffo locale Wesley Barnes (Forest Whitaker), ma la scomparsa del fratello, finito in un bruttissimo giro di scommesse e droga, per mano del brutale De Groat (Woody Harrelson), segnerà irrimediabilmente il cammino della sua vita.

Un film che si fa apprezzare più per le atmosfere e la bravura degli interpreti, che per l'originalità della storia e della messa in scena. Nel primo caso l'ottima fotografia plumbea ed esangue della desolata provincia americana, insieme alla nostalgia delle musiche che ritmano il racconto, conferiscono al film il tono di una ballata dolente e malinconica, cupa e con un senso di tragicità imminente. Dal canto loro, i personaggi riflettono la mancanza di speranza di un paese in ginocchio, la disperazione, l'abbrutimento e la mestizia dei vari soggetti sono restituiti in maniera eccellente dall'intero cast: sia dai protagonisti Christian Bale e Casey Affleck, martire, integro e caparbio il primo, inquieto e rabbioso nella sua disperazione il secondo, che dai comprimari, su tutti l'ennesima grande prova di una sempre notevole Woody Harrelson. Pellicola poco originale dunque, Il fuoco della vendetta, e in cui inevitabilmente c'è tanto di già visto e detto, ma nobilitato dagli interpreti e dalla suggestione delle atmosfere che crea, e che si fa infatti preferire nella prima parte, dove lo spleen della provincia e la disperazione dei suoi abitanti, legati ad un ineluttabile e incontrovertibile destino da perdenti della working class, affascina e convince.

La forza dei legami familiari e sentimentali che legittimano la possibilità di una vita decente, fanno da contraltare allo squallore della realtà e alla bruttezza della fabbrica con la sua fornace il cui fumo soffoca sogni e speranze. Quando questi si sgretolano e vengono meno, quando Rodney, restio ad andare al tappeto anche se l'incontro è truccato, perché non combatte solo per i soldi, ma per sfogare la rabbia repressa ("preferisco morire piuttosto che la fabbrica, vaffanculo la fabbrica. Che cosa ha fatto questo cazzo di paese per me?"), quando anche Rodney si arrende e va giù, il film perde colpi e nella seconda parte è molto meno convincente. Il film infatti vira verso un vero e proprio revenge movie, piuttosto convenzionale e abbastanza scontato, oltretutto con uno script un po' traballante (vedi Curtis introvabile e intoccabile anche dalla SWAT, che poi esce candidamente allo scoperto bastava una telefonata).

D'altronde anche in Crazy Heart, Scott Cooper, qui alla sua opera seconda, aveva dato l'impressione di farsi apprezzare di più come direttore di attori (oscar a Jeff Bridges) piuttosto che come narratore di storie, e infatti il film non era memorabile, impressione e limite che ritroviamo anche in questo Il fuoco della vendetta (in orgininale il titolo è Out of the Furnace). La scena della caccia al cervo ci fa pensare inevitabilmente a Il cacciatore di Michael Cimino, alle cui atmosfere il film può essere accostato: un paese e una generazione in crisi, sullo sfondo là dove c'era il Vietnam, oggi c'è l'Iraq. Non c'è futuro, non c'è speranza, in un'America schiacciata dalla crisi economica. La fabbrica chiuderà perché l'acciaio costa meno farlo in Cina. Release dei Pearl Jam apre e chiude il film, ma ci sarebbe stata bene anche una canzone del Boss "We go down to the river but I know the river is dry"; non c'è più lavoro alla Johnstown company a causa della crisi, e anche il fiume si è seccato, insieme ai sogni e alle speranze di un paese depresso dove le speranze sono bruciate dentro il fuoco della fornace.

Movieplayer.it

3.0/5