Recensione Ok, Enough, Goodbye (2010)

Rania Attieh e Daniel Garcia sono riusciti a creare un film diverso sul Libano, scegliendo il punto di vista un uomo spaesato, incapace di confrontarsi con qualcuno.

Gabbie

E' uno strano e affascinante progetto Ok, Enough, Goodbye, diretto dalla libanese Rania Attieh e dal texano Daniel Garcia e presentato in concorso al Torino Film Festival 2011; un lavoro, il loro, interamente autoprodotto, 'sfruttando' amici e familiari nel cast e che solo successivamente ha ottenuto i soldi dal fondo Sanad di Abu Dhabi. Apparentemente etereo e senza una struttura narrativa ben precisa, l'opera del duo rivela in realtà una complessa ossatura costruita attorno al protagonista maschile, il proprietario di una pasticceria che vive ancora con la madre a cui la lega un filo saldissimo. Stralunato, grassoccio, vestito nelle maniere più improbabili, attratto unicamente dalle automobiline che colleziona alla sua veneranda età e trasandato, l'uomo trova la sua unica ragion d'essere nel rapporto con l'anziana genitrice, presente ma non dispotica. Quando la donna, senza dare spiegazioni, lo lascia da solo nel loro appartamento a Tripoli, in Libano, per l'uomo inizia una peregrinazione senza fine alla ricerca di qualcuno con cui relazionarsi. Succede di volta in volta con Walid, un bambino con cui litiga quotidianamente, con una prostituta conosciuta casualmente attraverso degli sms, con un amico di vecchia data e, infine, con la figura più misteriosa di tutte, una colf etiope che non parla una sola parola di arabo e che quindi non rappresenta 'l'altro' di cui disperatamente a caccia.

Ecco che la deserta città libanese (alcuni quartieri sono diventati delle discariche a cielo aperto, non c'è nessuno alle giostre, i negozi sono pressocché vuoti, i traghetti trasportano sulla costa un solo passeggero, ovvero il protagonista) diventa il teatro ideale per questa ricerca che si sviluppa proprio sulle parole che compongono il titolo, 'va bene', 'è abbastanza', 'arrivederci', tre punti chiave che identificano il percorso di vita di questo ragazzone (l'efficace Daniel Arzrouni), incapace di confrontarsi con qualcuno. Il quarantenne, le cui azioni sono sempre una reazione infastidita a qualcosa che gli viene imposto dall'esterno è come la pasticceria di cui è il titolare, un luogo carico di prelibatezze di ogni genere che però nessuno viene a mangiare. In questo racconto carico di simbolismi, in verità mai troppo astrusi o farneticanti, non manca il senso dell'umorismo, diretta emanazione della goffaggine del protagonista, del suo infantile puntare i piedi davanti a situazioni che non gli corrispondono del tutto.
Il film non è però esente da pecche, ad esempio gli spezzoni di video amatoriali autoregistrati in cui i personaggi spiegano qualcosa di sé stessi; sono inserti che non aggiungono nulla allo sviluppo di una storia che poteva benissimo fare a meno di questi filmati eccessivamente realistici, in netta controtendenza rispetto all'andamento poetico della pellicola.
Rania Attieh e Daniel Garcia sono riusciti comunque a creare un film diverso su una nazione che ancora oggi piomba nel buio per il razionamento dell'energia elettrica, scegliendo il punto di vista un uomo spaesato. Un uomo che alla fine accoglie nella sua grande casa un canarino in gabbia. Chissà ancora per quanto.

Movieplayer.it

3.0/5