Recensione Oculus (2013)

Il regista Mike Flanagan trasforma in lungometraggio un suo precedente, apprezzato corto, tornando a una paura molto frequentata, e quasi archetipica per il genere, come quella generata dalla propria immagine riflessa in uno specchio.

Paure rimosse, incubi riflessi

Una oscura, terribile tragedia pesa sul passato di Tim e Kaylie Russell. Dieci anni fa, infatti, i genitori dei due ragazzi sono stati uccisi, e del duplice delitto fu ritenuto responsabile proprio il piccolo Tim. Rinchiuso in un ospedale psichiatrico, e liberato dieci anni dopo, il giovane ritrova la sorella Kaylie, tuttora convinta della sua innocenza. La ragazza, infatti, ritiene che a provocare la morte dei suoi genitori sia stato in realtà il potere malefico contenuto in un antico specchio, che la famiglia aveva acquistato poco tempo prima. Caparbiamente, Kaylie ha raccolto informazioni sui precedenti proprietari del manufatto, scoprendo che tutti sono morti di morte violenta, in circostanze simili a quelle dei suoi genitori; così, la ragazza rintraccia lo specchio in un'asta e ne rientra in possesso, decisa a scovare e neutralizzare il potere che vi è nascosto. Il luogo in cui questo confronto avverrà sarà proprio la casa di famiglia in cui si è consumata la tragedia; le videocamere piazzate intorno allo specchio documenteranno gli avvenimenti. Tim, tuttavia, accetta controvoglia di prendere parte all'esperimento, convinto di aver chiuso i conti con il passato; e che sua sorella stia cercando in realtà una giustificazione a quella che è stata una pura storia di violenza familiare.


Specchio delle mie trame
L'idea di questo Oculus nasce nel 2006, quando il regista Mike Flanagan scrive e dirige un fortunato cortometraggio horror dal titolo Oculus: Chapter 3 - The Man with the Plan. Il corto, di mezz'ora, era interamente ambientato in una stanza bianca, e aveva per protagonista un uomo che tentava di dimostrare che era stato lo specchio posto nella stanza a spingere suo padre, anni prima, a compiere un atroce delitto. Da quel germe iniziale, tradotto in un corto che avrebbe ricevuto vari premi in festival specializzati, nasce questo interessante horror, che ne approfondisce e sviluppa le premesse: un personaggio in più, quello della sorella del protagonista, una diversa "cornice" a contenerne gli eventi, ma al centro lo stesso concetto di base: il male, puro e apparentemente invincibile, contenuto in un oggetto antico, che spinge alla follia chi viene a contatto con esso. Il terrore proveniente da una superficie riflettente, d'altronde, è argomento tutt'altro che nuovo per il genere: tra i film incentrati sul tema, si ricordano Candyman - Terrore dietro lo specchio (e relativi sequel), il recente Into the Mirror, pellicola di produzione sudcoreana (col suo remake occidentale Riflessi di paura) e il più vecchio Mirror - Chi vive in quello specchio?; spostandoci sul piccolo schermo, non si può non ricordare l'episodio Lo specchio della serie Storie incredibili, co-sceneggiato da Steven Spielberg e diretto da Martin Scorsese. Com'è stato dunque trattato, ora, questo tema tanto frequentato, ma dall'immutato potenziale orrorifico?

Riflessi sottratti

Con una regia dal taglio classico, elegante ed essenziale, Flanagan (che nel frattempo si è fatto notare anche con Absentia, altro horror indipendente molto apprezzato nel circuito dei festival specializzati) mette in scena la storia giocando a sottrarre. Caratteristica paradossale per un tema che dovrebbe avere nella visione (quella reale e quella riflessa) uno dei suoi elementi principali, Oculus tuttavia mostra poco, suggerisce e gioca sulle ellissi narrative. Per quasi tutta la durata del film, lo specchio resta lì, al centro della stanza in cui la storia per gran parte si svolge, presenza minacciosa più che foriera di indicibili visioni. La sua opera, graduale, di distorsione della realtà, avviene perlopiù al di fuori della sua superficie: i protagonisti ne sperimentano gli effetti attraverso una serie di allucinazioni, che lentamente si mescolano in modo inestricabile con ciò che sta loro intorno. Il tutto, limitando al massimo l'effetto-shock, nonché i momenti di stravolgimento esplicito della realtà, in sequenze più classicamente "di genere" (poche e sapientemente dosate): il risultato è che il minaccioso oggetto aumenta il suo fascino archetipico, indistruttibile generatore di malvagità e di paura, fuori e dentro di sé.

Il passato si mescola al presente

Parlavamo di ellissi narrative, e il modo di raccontare scelto dallo script è particolarmente adatto a valorizzare queste ultime: le immagini del passato, e della drammatica notte in cui i genitori dei due protagonisti persero la vita, sono alternate a quelle del presente, e all'esperimento condotto, con dedizione quasi maniacale, dalla giovane Kaylie (interpretata da un'efficace Karen Gillan). Il montaggio gioca sul parallelismo che lentamente si delinea tra quell'ultima notte e quella presente, riempiendo i vuoti dell'una e dell'altra con le immagini della controparte, e mettendo spesso in scena i personaggi adulti che "rivedono" se stessi da bambini. La prima parte del film è giocata sul contrasto tra il razionalismo di Tim (che ha il volto di Brenton Thwaites) disposto ad assumersi la responsabilità della morte di suo padre, e ad escludere qualsiasi ipotesi sovrannaturale negli eventi di quella notte, e la sicurezza con cui Kaylie si propone di mettere a nudo il potere malvagio dello specchio. Un limite della sceneggiatura, invero l'unico evidente, è quello di aver forse accantonato troppo presto questa dialettica tra i due personaggi: quando i primi eventi inspiegabili iniziano a manifestarsi, Tim si convince fin troppo presto della validità delle tesi della sorella, abbracciandole senza obiezioni. Preso dalla progressione incalzante degli eventi, lo script si dimentica di seguire, in modo credibile, la psicologia dei due protagonisti, specie nella loro versione adulta.

Incubi infantili, vite dimezzate
Nondimeno, è apprezzabile la scelta di svelare in itinere, durante la narrazione, gli eventi che condussero il piccolo Tim nell'ospedale psichiatrico, e di permettere allo spettatore solo alla fine di ricostruire il quadro completo della storia. Scelta non certo nuova, quest'ultima, ma sempre efficace, e soprattutto sorretta da un'abile gestione degli incastri narrativi, e da un'ottima tensione di genere. Il parallelo passato/presente, l'accento sugli incubi dell'infanzia (nonché la capacità, da parte dei bambini, di "vedere" la minaccia prima degli adulti), la presenza di una forza sovrannaturale che condiziona le vite dei piccoli protagonisti, e che resiste, viva e minacciosa, durante il loro passaggio all'età adulta, la promessa di tornare, anni dopo, a chiudere i conti col "babau" che terrorizzava da bambini: tutto questo non può non far pensare alla migliore narrativa di Stephen King, e specie a quel romanzo-manifesto che è It (che crediamo abbia occupato un posto non irrilevante tra le letture del regista). La riflessione sull'infanzia, sui suoi terrori, e su quanto questi siano in grado di influenzare, in modo decisivo, il successivo sviluppo dell'individuo, è un motivo presente, sottotraccia, in tutto il film: è un peccato che lo script non sia riuscito ad approfondirlo fino in fondo, perdendo un po' di vista, come si diceva, i due personaggi nello sviluppo della loro vicenda presente.

Il senso di Mike per l'orrore
Tuttavia, questo Oculus resta un prodotto di genere decisamente apprezzabile, superiore alla media degli horror da grande distribuzione che abbiamo visto negli ultimi anni, macchina per spaventare che fa della semplicità (e della cura, unita all'essenzialità, nella messa in scena) la sua arma migliore. Piccolo saggio, inoltre, delle capacità di un regista abbastanza giovane (classe 1978) ma con già alle spalle una carriera più che decennale, fatta di oscurità nei circuiti mainstream, ma anche di tanti riconoscimenti in quelle manifestazioni indipendenti che fanno "vivere" prodotti come questo. I suoi prossimi lavori, tra cui spicca un nuovo horror dall'enigmatico titolo Somnia, sono sicuramente da guardare con interesse.

Movieplayer.it

3.0/5