Recensione Medeas (2013)

In equilibrio tra reale e metafisico, giocata su primi piani, riflessi, sfocature e giochi di luce, l'opera di Pallaoro mette da parte i meccanismi narrativi tradizionali dirigendosi verso un'idea di cinema esteticamente minimalista

L'amore rubato

Isolati nella provincia americana più arida e polverosa, un uomo insieme alla giovane moglie e ai suoi cinque figli vivono apparentemente in armonia con la solitaria natura che li circonda. Rigoroso e instancabile allevatore di mucche da latte, l'uomo fatica a mantenere il controllo della sua vita e non riesce ad accettare il fatto che i due figli più grandi stiano crescendo e si sentano soffocati dalla condizione di isolamento in cui li costringe a vivere. A peggiorare l'indifferenza e l'anaffettività che nell'ultimo periodo la moglie sordomuta gli sta riservando chiudendosi ogni giorno di più in se stessa. Quando due dei figli iniziano a comportarsi freddamente con lei, la donna capisce di essere arrivata ad un punto di non ritorno e che qualcosa nella sua vita sta per cambiare radicalmente. Col crescere delle tensioni tutti loro saranno costretti a confrontarsi con i propri desideri e le proprie paure in un contesto in cui il conflitto fra libertà e controllo, intimità e alienazione, amore e possesso si fa sempre più acceso.

La scena d'apertura in cui il padre di famiglia scatta una bellissima foto alla moglie e ai cinque figli in riva al fiume introduce in maniera molto empatica lo spettatore nella vita di questa famiglia la cui vita è immersa nell'arida campagna rurale americana. Il capofamiglia appare sin da subito come un uomo buono, un grande lavoratore, affettuoso con i figli più piccoli ma severo e repressivo nei confronti di quelli più grandi. La moglie è una donna bellissima e dolcissima, un angelo del focolare che si prende cura di tutti, mentre i figli sono dei bambini e dei ragazzi un po' vivaci ma assolutamente deliziosi e apparentemente felici. Eppure sin dai primi minuti si capisce che qualcosa non torna, che c'è qualcosa che non funziona, che qualcosa di brutto sta per minare la serenità di questa famigliola che vive in un contesto apparentemente idilliaco.
Film d'esordio dell'italiano Andrea Pallaoro (classe 1982, emigrato a Los Angeles per studiare cinematografia), Medeas è un affascinante film 'sensoriale' e intimista in cui i dialoghi sono superflui, anche per via della sordità della protagonista che costringe gli altri componenti della famiglia a comunicare con altri mezzi, narrato quasi esclusivamente per mezzo dell'osservazione dei personaggi e del loro habitat attraverso una spiccata percezione del suono ed una magistrale costruzione dell'inquadratura, talvolta non centrata sull'azione bensì focalizzata su particolari di contorno che meglio restituiscono il turbamento dei personaggi. In equilibrio tra reale e metafisico, giocata su primi piani, riflessi, sfocature e giochi di luce, l'opera di Pallaoro mette da parte i meccanismi narrativi tradizionali dirigendosi verso un'idea di cinema esteticamente minimalista che sfrutta il contenimento attoriale e la sottrazione dei dialoghi per costruire un crescendo di tensione ansiogeno e opprimente. Un plauso va anche al cast, a tutti i giovani attori guidati da due protagonisti d'eccezione come Brian O'Byrne e Catalina Sandino Moreno, candidata all'Oscar per la sua interpretazione di Maria Full of Grace, e al regista per aver saputo guidarli in maniera perfetta nonostante la giovanissima età di alcuni di loro.
Ottimo il lavoro sulla fotografia, che gioca in continuazione con la profondità di campo restituendoci punti di vista affascinanti, e sul sonoro (fanno sorridere piacevolmente le canzoni di Patty Pravo nelle cuffie della figlia adolescente che studia l'italiano da autodidatta) che non subisce manipolazioni esterne ed arriva allo spettatore senza filtri. Medeas esplora con rigore, coraggio e sensibilità gli esiti più estremi del comportamento umano quando non si può prescindere dai paesaggi circostanti e dal contesto sociale in cui si vive. Il giovane talento italiano fuggito negli Usa dimostra grande maturità nell'uso della macchina da presa, statica ma sempre pronta a cogliere l'attimo fuggente e le geometriche interazioni tra i personaggi, a rielaborare gli spazi, a dilatare i tempi e ad accogliere sprazzi di luce inconsueti, riuscendo nella difficile impresa di raccontare le evoluzioni psicologiche dei personaggi in un crescendo di tensione che non può non sfociare in una tragedia che è eloquentemente preannunciata dal titolo.

Movieplayer.it

4.0/5