Sognando l'Arizona
Il cinepanettone lo hanno inventato loro, anche se non amano sentirselo dire. In realtà i fratelli Vanzina nel 1983, grazie al primo e originale Vacanze di Natale, hanno fotografato con tenerezza e un pizzico di feroce autocritica l'evoluzione di un paese e il riflesso di un italiano sempre più rampante, almeno nei suoi desideri. A trasformare tutto questo in un fenomeno popolare e seriale tanto discusso dalla critica quanto premiato dal botteghino, ci ha pensato poi Aurelio De Laurentiis in collaborazione con Neri Parenti e l'irrinunciabile Christian De Sica. Da quell'evoluzione troppo svestita e volutamente paradossale Enrico e Carlo si sono discostati non con disprezzo, ma con la consapevolezza di aver voluto sempre raccontare altro. Un desiderio che oggi, di fronte alla morte annunciata del genere in questione, ritorna prepotente e si esprime con il loro Mai Stati Uniti, commedia costruita attraverso uno schema narrativo riconoscibile ed una garbata leggerezza utilizzata per ricercare la risata senza scadere in una volgarità gratuita. Per questo, probabilmente, i Vanzina hanno scelto di muoversi su un terreno familiare attraverso la struttura del road movie di gruppo, tanto per riportare alla mente le suggestioni adolescenziali di Vacanze in America. Questa volta, però, a volare verso gli Stati Uniti non sono dei liceali eccitati guidati dal ciociaro Don Buro, ma un'improbabile nucleo famigliare formato da cinque fratelli completamente estranei l'uno all'altro fino alla morte di un padre altrettanto sconosciuto.
Ma cosa può unire uno scommettitore fallito, un meccanico sconfitto dalla crisi, una depressa/ ansiosa, un animalista entusiasta della vita e una ragazza tutta curve? Sicuramente il denaro e la prospettiva di una vita senza più pensieri anche se, prima di poter afferrare la propria parte di eredità, i cinque debbono spargere le ceneri del neo genitore in un luogo preciso dell'Arizona. Questo è lo spunto dal quale inizia il viaggio, a fare il resto, però, è un atterraggio di emergenza, una puntata a Las Vegas finita male, una rapina a mano armata scampata maldestramente e l'attacco di un orso inferocito sventato a colpi di hamburger insaporiti al Valium. Così, impegnati ad uscire costantemente dai guai Antonio, Nino, Angela, Carmen e Michele iniziano a conoscersi nel bene e nel male per poi scoprirsi, quasi inconsapevolmente, fratelli. Da questo intreccio piuttosto semplice e prevedibile si comprende come regista e sceneggiatore abbiano puntato tutte le loro attenzioni sulla costruzione dei personaggi, cui viene affidato il compito non facile di creare immediatamente empatia e riconoscibilità con il pubblico. Un risultato che i Vanzina, però, riescono ad ottenere solamente in parte. Perché, nonostante abbiano definito e tratteggiato ogni elemento caratteriale con grande attenzione, i loro protagonisti si muovono e interagiscono con una disarmonia costante. Presi singolarmente, ognuno di loro ha un potenziale riconoscibile e personale ma, inseriti, in un contesto globale, non riescono ad armonizzare accenti linguistici e, soprattutto, un diverso utilizzo dell'e_scamotage_ comico. Posto che queste diversità siano state inserite ed evidenziate come base di tutta la struttura narrativa, non riescono, però, ad essere sempre utilizzare in modo funzionale alla storia e alla sua necessità di far sorridere lo spettatore. Per questo motivo Mai Stati Uniti può essere considerata una commedia a singhiozzo dal ritmo un po' scomposto, che subisce accelerazioni o improvvisi rallentamenti a seconda del personaggio coinvolto. Perché a definire l'andamento di questo progetto è proprio la provenienza e il diverso background di ogni protagonista, che evidenzia la sua attitudine, più o meno spiccata, alla commedia. E' così che, se la comicità romana e napoletana rappresentata dal duo Memphis/Salemme riesce ad esprimersi in modo efficace grazie ad una serie di schemi già ben sperimentati, altrettanto non può dirsi del confronto femminile tra Anna Foglietta e Ambra Angiolini. In questo caso, l'abitudine al genere della prima e la sua naturale brillantezza hanno messo inevitabilmente in ombra la prova della sua compagna di set. Sarà per questo che la Angiolini, fino ad ora messa alla prova con un umorismo meno evidente e più sottile, cade nella tentazione di estremizzare fino alla farsa le caratteristiche della sua Angela costantemente sull'orlo di una crisi di nervi. A completare il quadro, poi, si aggiunge Giovanni Vernia che, non riuscendo a lasciare idealmente il palco di Zelig, fa fatica a fondere i suoi tempi comici da cabaret con quelli richiesti da un film legato ad una tradizione narrativa, forse, bisognosa anche di un rinnovamento nei contenuti e nelle atmosfere.
Movieplayer.it
2.0/5