Recensione Mad Bastards (2010)

Traendo spunto dalle storie del proprio cast di non professionisti, Brendan Fletcher realizza un film emozionante e sincero sulla ricerca delle proprie radici, sul bisogno di dare un senso alla propria vita e ai propri rapporti, sull'importanza della responsabilità.

Redenzione in Australia

Non è mai troppo tardi per fare la cosa giusta. E non è mai troppo tardi per smettere di trovare scuse per non farla, nascondendosi dietro al proprio brutto carattere, dietro la sfiducia della gente, dietro alla convinzione che tanto non ci saremmo riusciti. Non è mai troppo tardi per conoscere il proprio figlio, anche se ha già tredici anni e sta dall'altra parte dell'Australia: è questo che suo fratello, dalla prospettiva di una cella carceraria, tenta di far capire a TJ, un iroso omone di discendenza aborigena con cui nemmeno la madre vuole più avere niente a che fare. E, dopo l'ennesima rissa in un bar, TJ conclude che suo fratello potrebbe anche avere ragione, che l'unico modo per dare una svolta alla propria vita è prendersi le proprie responsabilità: si imbarca così in un lungo viaggio, da Perth alla regione di Kimberley, dove il figlio Bullett vive con la madre, troppo spesso ubriaca e coinvolta in liti domestiche con il fidanzato di turno. Anche il ragazzino, com'è immaginabile, non se la passa troppo bene e, per evitare qualche mese di galera per aver appiccato un incendio, viene spedito dal nonno, il solido, instancabile Zio Texas, in un campo di rieducazione, insieme ad altri ragazzi difficili. Così, mentre TJ attraversa il paese su pullman sgangherati, in compagnia di altri autostoppisti come lui, più o meno saggi, più o meno folli, anche Bullet fa esperienza della propria terra, a caccia di coccodrilli e di un po' di stabilità.

L'incontro tra i due non sarà certo semplice, ma il giovane Lucas Yeeda e Dean Daly-Jones, entrambi attori non professionisti, come del resto quasi tutto il cast, sono efficacissimi nel tradurre l'imbarazzo, la curiosità e la diffidenza, quasi animalesca, con cui questi due "pazzi bastardi" si studiano e si confrontano. Il pregio principale del film è proprio la freschezza, il realismo delle interpretazioni che, sebbene affidate a un cast privo di preparazione tecnica, vengono arricchite dal bagaglio di esperienze, affini a quelle qui raccontate, che ognuno dei protagonisti ha vissuto sulla propria pelle. Il regista Brendan Fletcher, che nasce come documentarista e che proprio grazie a un documentario, quello sui Pigram Brother (qui interpreti principali di una colonna sonora di grande importanza, e che diventa quasi essa stessa un personaggio), è entrato in contatto con la cultura aborigena, ha infatti passato mesi a raccogliere le storie di persone come TJ, Texas e Bullet, eredi di una tradizione molto sentita e rispettata ma, contemporaneamente, anche dei senza radici. Questo perché, nonostante la storia che li ha preceduti, questi uomini non sono immuni dalle debolezze a cui ci costringe la contemporaneità: l'alcolismo, la violenza sono le risposte più semplici all'incertezza e alla solitudine, un rifugio da una vita senza affetti, ma sarà TJ per primo a capire che "l'omino con l'ascia in mano" che porta dentro di sé sarà lui stesso a doverlo domare.

La musica accompagna questo percorso di crescita e di autodeterminazione, sottolineandone gli alti e i bassi quasi come un coro greco, che commenta la scena e suggerisce la direzione da prendere agli eroi; ugualmente simbolico è l'uso del paesaggio australiano, immortalato in sequenze di grande suggestione, che contrappongono la soffocante immobilità del deserto, spaccato dal sole, al potere rinnovatore dell'acqua, alla sua capacità di scorrere oltre tutto quello che si è stati e di trasformarci in una versione migliore di noi stessi.

Mad Bastards è un film per certi versi malinconico, come è malinconico Zio Texas nel vedere lo spreco di un'intera generazione di giovani allo sbando, e di una di vecchi che si guardano in faccia senza sapere cosa dirsi, ma soprattutto pieno di fiducia nella capacità dell'uomo di riscattare se stesso, e questo messaggio di speranza acquisisce un peso ancora più significativo se si pensa che storie del genere accadono davvero, e che questo film ne è semplicemente un'emozionante, onesta testimonianza.

Movieplayer.it

3.0/5