Piccole grandi vittorie
Bruno (Edoardo Leo) è stato sempre un sognatore, un appassionato di sport, uno che non ha mai avuto un lavoro serio e i piedi per terra, uno che non si è mai accontentato di tirare avanti senza provare a fare qualcosa di importante. Ora lavora come venditore ambulante di granite e quando parla dell'avventura sportiva vissuta con i suoi tre amici qualche anno prima i suoi occhi si fanno ancora lucidi. Era il 2005 e il suo lavoro nella ditta di pulizie stava per andare a rotoli insieme al suo matrimonio con Eva (Francesca Inaudi). Lo sfratto stava per diventare esecutivo e la ricerca di una nuova casa in cui andare a vivere con il loro figlioletto Yuri si era rivelata un fallimento. Una sera, mentre con lo scopettone in mano passava davanti alla televisione sentì parlare del curling, sport assai poco diffuso in Italia e potenzialmente pieno di sorprese. Ed ecco l'idea geniale: provare a mettere insieme una squadra per partecipare alle selezioni per le imminenti Olimpiadi invernali di Torino del 2006. Nacque così un'insolita e rattoppata Armata Brancaleone dei ghiacci, composta da Bruno, dal suo migliore amico Salvatore (Ricky Memphis), da Neno (Antonello Fassari), un asso del biliardo che un tempo era considerato il boss del quartiere e a sessant'anni suonati vive nell'illusione di essere ancora quello di una volta, e un attempato vigile urbano in pensione (Ennio Fantastichini), uno dei migliori giocatori di bocce in circolazione. Quello che accadde alle selezioni nazionali di Pinerolo fu per i quattro amici, e per Bruno in particolare, un'esperienza unica e irripetibile, che andò oltre la semplice impresa sportiva. Fu un momento importante per la vita di ognuno di loro, un momento di crescita e di realizzazione capace di riconciliarli con i loro desideri nel rispetto di un passato ormai lontano e di un futuro sempre più vicino.
Per il suo primo film da regista Claudio Amendola chiama a raccolta i suoi amici e colleghi più affezionati e mette in scena una commedia contemporanea senza pretese che diverte, una storia che commuove e regala siparietti e battute a raffica senza dimenticarsi mai di raccontare l'attualità con un pizzico di amarezza. La mossa del pinguino è diretto con semplicità ed entusiasmo e ci dice molto anche del suo autore, delle sue passioni e delle sue convinzioni. Quella narrata è una storia che mette in luce come la società di oggi sia disposta a perdonare più i criminali che i sognatori e quanto sia importante il gioco, in particolare quello di squadra, quando si parla di sport, di vita e, se vogliamo, anche di cinema. Al centro il percorso di riscatto di quattro sgangherati atleti che si allenano con le pentole a pressione e gli scopettoni, uomini abbattuti dalla vita ma che hanno ancora voglia di dimostrare e di sognare. Riceveranno da questa avventura un grande insegnamento: non si può passare tutta l'esistenza a 'sbocciare' gli eventi e le persone che non ci piacciono che ci mettono sulla nostra strada, qualche volta bisogna provare a calibrare il tiro e semplicemente 'accostare'. Non sempre si va a punti, ma le possibilità di sicuro aumentano. C'è lo spirito di Full Monty, c'è l'alchimia de I Cesaroni, c'è sintonia tra gli attori, c'è un contesto sportivo bizzarro che incuriosisce e appassiona; il tutto con la voglia di dar voce all'anima giocosa dello sport usando una disciplina quasi sconosciuta di cui si sente poco parlare. Non importa di che sport si tratti, quando un atleta sale sul podio con la medaglia al collo e lo stadio lo applaude il momento si fa magico, sempre e comunque, ma non per la vittoria in sé o per l'impresa sportiva, ma perché dietro a quella vittoria ci sono anni di sacrifici, di perseveranza, di rinunce, di litigi e di delusioni. Un piccolo film dal grande cuore, che non nasconde mai la sua spiccata romanità, che rimane coerente e onesto con il pubblico, che si prende le sue responsabilità facendosi portatore di un messaggio positivo e ottimista in un momento in cui c'è veramente poca voglia di sorridere.
Movieplayer.it
3.0/5