Il braccio fraudolento della legge
Umberto Dorloni (Claudio Bisio) è uno che vola alto: ha una famiglia ideale, un solido conto in banca, una carriera in ascesa, degli amici a cui farlo sapere. Ma, proprio quando un'intervista televisiva sulle reti nazionali e l'invito al più esclusivo dei ricevimenti sembrano essere lì a decretare il suo trionfo, ecco che quel mondo così apparentemente perfetto mostrerà all'avvocato Dorloni tutte le sue crepe e le sue trappole. Sprezzante, irrispettoso, insensibile e narcisista, Umberto non ha intenzione di cedere di un millimetro e di rinunciare al suo mondo dorato. A volte, però, tenersi stretto il proprio posto in vetta può richiedere molto più di un po' di ambizione e qualche riga sul curriculum. L'impavido squalo in giacca e cravatta si ritroverà tradito e traditore, martello e incudine, in bilico sull'orlo di un precipizio a scegliere tra carriera e famiglia, tra bugie e verità, perché per uno come lui che vive di competizione finire nel dimenticatoio è assolutamente inaccettabile. Ne seguirà una profonda crisi esistenziale che lo porterà alla scoperta di sé e a doversi confrontare con le sue fragilità.
Nell'ampio e purtroppo mediocre panorama delle commedie italiane contemporanee si va ad incastonare anche questo La gente che sta bene, nuovo lavoro del regista Francesco Patierno (Pater Familias, Donne assassine) tratto dall'omonimo romanzo di Federico Baccomo che succede temporalmente (e ne rappresenta un po' lo spin-off) al suo primo romanzo, Studio Illegale, portato esattamente un anno fa sul grande schermo (con i medesimi deludenti risultati) da Umberto Carteni e interpretato da Fabio Volo e Ennio Fantastichini. In bilico tra commedia e dramma
Un registro che non è mai coerente quello usato da Patierno, che contribuisce non poco al disorientamento dello spettatore e, per assurdo, dell'attore protagonista Claudio Bisio, che si dimostra inadatto a questo tipo di ruoli apparendo per la maggior parte del tempo impacciato, artefatto, disancorato dalla realtà, sopra le righe, poco credibile. Buona invece la caratterizzazione dei personaggi minori, su tutti quello di Diego Abatantuono (protagonista anche di Cose dell'altro mondo) che si dimostra abile nel vestire i panni di una vera canaglia, un uomo senza scrupoli, un mercenario cinico e spietato senza appello. Questo film, come molti altri usciti di recente e lo stesso Studio illegale, dimostrano come in Italia sia diventato difficile trovare la chiave giusta per raccontare la tragicomicità di quello che accade, e di come si sia completamente persa la capacità di raccontare e distorcere la realtà senza rinunciare all'armonia estetica o alla fluidità narrativa. Sono pochi i registi contemporanei che ci son riusciti, pensiamo a Massimiliano Bruno (con Viva l'Italia e Nessuno mi può giudicare) e Roberto Andò (con il suo bellissimo Viva la libertà), ai 'grandi' Nanni Moretti e Paolo Sorrentino fino ad arrivare al compianto Carlo Mazzacurati che ci ha lasciato da qualche giorno e che con il suo talento di narratore e il suo aspro e bizzarro elogio al provincialismo ci ha regalato piccole grandi favole contemporanee velate di malinconia che difficilmente dimenticheremo. Scenografie, dialoghi ai limiti dell'assurdo, situazioni improbabili, costumi e ambientazione non aiutano il film a prendere le distanze dagli stilemi televisivi e a trovare la strada giusta da far intraprendere ai suoi personaggi. Squali che non mordono
Tra Milano e Londra, tra il serio e il grottesco, tra commedia spicciola e dramma contemporaneo, il nuovo film diretto da Francesco Patierno è tratto dall'omonimo romanzo di Federico Baccomo, già autore di Studio Illegale e co-sceneggiatore di entrambi i film. Classe 1978, Baccomo si laurea in Giurisprudenza nel 2001 e dopo la pratica entra a far parte di uno studio internazionale di avvocati milanese. Solo qualche anno dopo, nel 2007, decide di abbandonare lo studio e di aprire un blog nel quale, con lo pseudonimo di Duchesne, inizia a raccontare in chiave grottesca e ironica aneddoti e retroscena del difficile e fatuo mondo professionale milanese pubblicando due romanzi, Studio Illegale (2009) e La gente che sta bene (2010) entrambi portati sul grande schermo senza la giusta convinzione dalla Madeleine di Carlo Macchittella (detentrice dei diritti) nel quale Baccomo riprende il discorso attraverso gli occhi di un altro personaggio, quello che nel primo film era il capo di Fabio Volo (giovane ma poco convincente avvocato rampante) ed era interpretato da un ottimo Ennio Fantastichini. Riso e Bisio
Simbolo e feticcio di una Milano 'da digerire' popolata da un'umanità alla ricerca disperata di un modo per stare a galla, l'Umberto Dorloni interpretato da Claudio Bisio si trasforma sin dai primi minuti in una maschera incerta dal ghigno plastificato, in una figura ingabbiata tra le sbarre di una tragicomicità macchiettistica che ne scalfisce la credibilità e l'efficacia. Il bravissimo showman televisivo, geniale nei tempi comici imposti dal piccolo schermo, non riesce a restituire al personaggio centrale un adeguato spessore drammaturgico e a trovare la chiave recitativa giusta per conferirgli cattiveria, sarcasmo, credibilità e, soprattutto, umanità. A poco serve l'improvvisa (e surreale) redenzione del finale (inesistente nel romanzo) del suo personaggio, ad ulteriore riprova della totale incapacità del regista e degli sceneggiatori (sedici mani sono decisamente troppe) di mantenersi coerente ed attaccata alla realtà. Sono emblematiche, a tal proposito, le sequenze trash che vedono nelle scene iniziali e finali del film Claudio Bisio, lasciato allo sbando in preda alle nevrosi del suo personaggio, ri trova di fronte dapprima una spazientita giornalista televisiva (Maria Latella) e poi uno squilibrato e inquietante ispettore di polizia (un magistrale Carlo Buccirosso). Un'occasione mancata
Un vero peccato, perché gli elementi per realizzare qualcosa di buono c'erano tutti, a partire dal cast di contorno che, anche grazie al bel personaggio interpretato da Margherita Buy (un po' buttata via per un ruolo piccolo e sviscerato solo in parte) contribuisce a mettere in mostra le potenzialità inespresse dell'opera di Patierno. Spiace per Bisio che anche per mancanze non sue non riesce a lasciare il segno e dimostra tutta la sua bravura di comico solo in un paio di sketch. Disomogeneo, diluito nei tempi e posticcio nella messinscena, La gente che sta bene è un film senza dubbio coraggioso ma che non graffia e non tocca mai le corde giuste.
Movieplayer.it
2.0/5