Recensione L'affondamento del Laconia (2011)

Il problema in produzioni del genere è che ci si lascia trasportare da una certa retorica, rischio che in questo caso viene corso un paio di volte; nel complesso però ci troviamo di fronte ad un'opera intensa, ben recitata dal cast internazionale.

Senza gloria

Non è facile riassumere in poche righe una vicenda spinosa e poco conosciuta come l'affondamento del Laconia, la nave della marina mercantile inglese adibita al trasporto delle truppe, che fu colpita e affondata da un sommergibile tedesco durante la Seconda Guerra Mondiale. A bordo del transatlantico britannico c'erano ufficiali del Regno Unito, alcuni civili e 1.800 soldati italiani, imprigionati in seguito alla battaglia di El Alamein. Il siluramento effettuato dall'U-Boot comandato dal capitano Hartenstein causò una vera e propria carneficina e a pagare il prezzo più alto in termini di vite umane fu proprio il nostro contingente. A morire, per le conseguenze dell'esplosione, e anche perché vennero bloccate le vie di fuga, furono più di mille militari.

Il film tv che Canale 5 trasmetterà domenica 2 ottobre in prima serata tenta di raccontare i tragici avvenimenti del 12 settembre 1942 attraverso il punto di vista di tre personaggi principali. Il primo, realmente esistito, è il capitano tedesco Hartenstein che, resosi conto di non aver colpito un'imbarcazione militare, decide di salvare tutti i naufraghi; gli altri due, invece, sono fittizi, ma estremamente credibili nella loro indole: l'ufficiale inglese che in qualche modo percepisce la tragedia imminente, e il giovanissimo tenente italiano Vincenzo Di Giovanni, la cui voce fuori campo illustra soprattutto quanto sofferto dai suoi commilitoni, costretti a vivere in condizioni disumane nelle stive della nave.

Il racconto parte quindi dal giorno dell'attacco, per poi svilupparsi in un lungo flashback che mostra la vita a bordo del Laconia, poco prima del devastante impatto con i siluri tedeschi. Pur coscienti della tragicità dei tempi, gli uomini e le donne radunati nei piani superiori del transatlantico conservano ancora una certa speranza nel futuro. Come Hilda, una tedesca che si finge inglese per mettere in salvo la nipotina, figlia del fratello giustiziato in quanto oppositore del Terzo Reich. Basta scendere qualche metro più in basso, dove sono stipati i prigionieri italiani, per vedere la prospettiva completamente cambiata. Vincenzo e i suoi compagni di sventura cercano solo di sopravvivere, facendo i conti ogni giorno la stolta malvagità dei secondini. Quando i missili del sottomarino teutonico squarciano la chiglia della nave, questo microcosmo viene disintegrato, non solo fisicamente.

A bordo dell'U-Boot tedesco si festeggia per la riuscita della missione. Il dramma arriva qualche ora più tardi quando ci si rende conto che la Laconia trasportava anche dei militari italiani, quindi degli alleati. Il capitano Hartenstein cerca di porre rimedio mettendosi in contatto con il quartier generale tedesco di stanza a Parigi, ma non ottiene risposta. Sceglie di seguire l'istinto, abbandonare ogni remora 'politica' e di salvare tutti i naufraghi. Cerca la collaborazione anche delle forze inglesi, che per tutta risposta, temendo un'imboscata, passano la palla agli americani. Dopo alcune settimane in cui vittime e carnefici, nemici e alleati, condividono del tempo insieme, lasciandosi andare ad una vera e genuina umanità, i sopravvissuti riescono a trovare l'agognata serenità. Non senza aver pagato un carissimo prezzo.

La regia di Uwe Janson è sicura e spettacolare e riesce ad essere efficace sia nelle sequenze più concitate (quelle dell'affondamento sono di estremo realismo), sia in quelle più delicate e commoventi, in cui emergono tutta la potenza distruttiva della guerra e, all'opposto, la forza della solidarietà. Bella in tal senso la scena in cui Hilda intona We'll meet again, brano indissolubilmente legato a Il dottor Stranamore di Stanley Kubrick; nemica davanti ai nemici (la platea inglese non sa che lei è tedesca), Hilda regala a tutti un momento di gioia con il suo canto. Esattamente come fece la spaesata ragazza tedesca che in Orizzonti di gloria emozionò i soldati francesi. Il problema in produzioni del genere è che ci si lascia trasportare da una certa retorica, rischio che in questo caso viene corso un paio di volte; nel complesso però ci troviamo di fronte ad un'opera intensa, ben recitata dal cast internazionale in cui spiccano le interpretazioni di Ken Duken (il capitano Hartenstein), già visto in Bastardi senza gloria, Franka Potente e del nostro Ludovico Fremont.

Movieplayer.it

3.0/5