Recensione In solitario (2013)

In concorso nella sezione Alice Nella Città al festival di Roma, dai produttori di Quasi Amici, un film francese che al di là della spettacolarità delle immagini, della grandeur dello sforzo, dei numerosi sponsor e delle difficoltà produttive, racconta una storia intima dove l'avventura umana prevale sull'odissea sportiva. Con un grande François Cluzet ottimo protagonista che regge 'en solitaire' una regata tra le onde del mare e dell'animo.

Solitario a due

La Vendée Globe è una regata per barche a vela che consiste nella circumnavigazione completa intorno al mondo in solitaria. Si svolge ogni quattro anni ed è considerata come la più significativa delle competizioni in ambito velico. La gara inizia e finisce a Les Sables-d'Olonne nella Vandea francese. Una sfida di rilievo dunque, soprattutto per le impegnative condizioni durante il tratto nei Mari Antartici: come difficoltoso e impegnativo sarà stato sicuramente lo sforzo produttivo per portare a termine questo film, interamente girato su una barca a vela in mezzo al mare, in condizioni estreme per ricreare in modo credibile quelle proibitive della gara, per cui destabilizzante sia su un piano tecnico che artistico.


La storia è quella di Yann Kermadec (François Cluzet), che vede realizzarsi il suo sogno quando viene chiamato a sostituire l'amico Franck (Guillaume Canet), fratello della sua compagna Marie (Virginie Efira), per competere nella Vendée Globe come skipper solitario della DCNS, di cui è sempre stato il secondo. L'occasione è quella che aspettava da sempre, e la gara sembra mettersi per il meglio. Ma dopo una sosta forzata alle Canarie per riparare un guasto al timone, scoprirà a bordo la presenza di un giovane passeggero che rischia di mandare tutto all'aria. La gara consiste in una navigazione completa in solitario, pena l'esclusione, e la presenza a bordo del piccolo Mano Ixa (Samy Seghir) rimetterà tutto in discussione.

Un produzione sontuosa, questo In solitario, espressione di una grandeur produttiva che innegabilmente i francesi possono permettersi di sfoggiare. Dalla commedia fino al filmone d'avventura e sentimento, i cugini d'oltralpe sono gli unici che possono vantarsi di poter confezionare prodotti di un livello veramente internazionale, come solo gli americani saprebbero fare. Il regista Christophe Offenstein si è gettato in questa impresa, una maratona di quasi due anni, con gli attori concentrati in uno spazio di 20 metri quadrati circondati da 18 persone di troupe, riuscendo nell'intento di fare un film dove alla fine è comunque l'avventura umana che prevale sulla magnificenza dell'impresa sportiva. Sullo sfondo di tramonti memorabili, il protagonista è caparbio nella sua volontà di isolamento e bramoso della vittoria, e inizialmente rifiuta il ragazzo. Ma ad un certo punto inevitabilmente si affeziona a lui, e anche quando avrebbe la possibilità di lasciarlo andare, un conflitto interiore mette in discussione le sue convinzioni, le onde dell'animo sono più tumultuose di quelle dell'Artico.

Meglio vederlo in due Capo Horn, perché forse happiness is real only when shared, la felicità è tale solo se condivisa, come diceva Christopher McCandless in Into the Wild. E non attraverso video chiamate o foto inviate per email (comunque grande spot per la Apple, anche in mezzo all'oceano l'iPad sembra andare che è una bellezza): la famiglia, la compagna (la bella Virginie Efira di 20 anni di meno) e la figlia, che nel frattempo sviluppano il loro rapporto parallelamente all'uomo e al ragazzo sulla barca, sembrano iniziare a mancargli veramente proprio quando l'agognata vittoria sembra più vicina. Perché ci sono tanti modi di vincere, come gli ricorda Guillaume Canet in una email che legittima le scelte della rotta intrapresa dall'amico, non solo nautica ma anche del cuore. Questo è forse il senso più profondo del film, che ci regala un'altra intensa interpretazione di un ottimo François Cluzet, che regge en solitaire l'intera regata, tra le onde del mare e dell'animo.

Movieplayer.it

3.0/5