Il film che non c'è
E' un giorno come tanti nella vita di un regista che non ha niente di cui occuparsi, perché il suo paese gli vieta di fare il suo mestiere, quando a Jafar Panahi viene l'idea di chiamare il suo amico Mojtaba Mirtahmas per proporgli di realizzare un piccolo progetto insieme. Il regista de Il cerchio vuole almeno immaginare il film che avrebbe dovuto essere il suo prossimo, e vuole farlo con una telecamera. "Se recito e leggo una sceneggiatura, non possono dire che sto dirigendo, giusto? Non c'è scritto questo sulla sentenza!", dice Panahi, un po' scherzando, e un po' seriamente, perché le sanzioni in cui può incorrere se colto nell'atto di trasgredire alle restrizioni impostegli non sono certo uno scherzo. Ma in realtà quello di dare un'idea dell'opera che non ha potuto realizzare e che forse non potrà mai realizzare è solo un pretesto per esplorare la quotidianità di un artista che si consuma nell'urgenza di lavorare, e che continua a vedere il mondo che lo circonda con lo sguardo del cineasta.
In Film Nist (Questo non è un film), dunque, non è nemmeno un documentario in stile "not making of", né una narcisistica catarsi come il bizzarro Arirang di Kim Ki-Duk, visto durante questo stesso Festival di Cannes nella sezione Un certain regard, ma semplicemente uno scorcio che il regista iraniano vuole offrire a colleghi, cinefili e addetti ai lavori, e anche il suo modo di ringraziare per l'interesse e il sostegno internazionale che possono avere un certo peso nel suo destino.Emerge in questa breve, intima pellicola, una figura forte e amabile, che continua a sperare in una soluzione positiva del suo problema con il governo iraniano. Panahi non sembra nemmeno concepire la possibilità di una fuga, è evidente il suo desiderio di raccontare la realtà che lo tocca, il suo paese, il suo fascino e le sue trappole, e se non può farlo con il cinema si accontenta di mettersi a filmare con il suo telefono cellulare. E intanto l'obiettivo di Mirtahmas lo ritrae al telefono con il suo avvocato, in attesa di notizie sul giudizio della corte d'appello, o mentre interagisce con il simpatico iguana di famiglia, Igi. E' apprezzabile, in Questo non è un film, la ricerca non compromissoria della genuinità ("devo gettare la maschera, smettere di recitare"), ma anche il fatto che Panahi non voglia in nessun modo impietosire lo spettatore: i riferimenti ai suoi problemi con la legge sono funzionali, e non s'insiste sulle sofferenze che hanno causato a lui e alla sua famiglia. Il risultato è una finestra fugacemente aperta su un mondo in tumulto, a osservarlo un regista che ha tragicamente sia il dovere che il divieto di raccontarlo.
Movieplayer.it
3.0/5