Recensione I.D. (2012)

Quello di Kamal K.M è cinema d'inchiesta e di denuncia sociale costruito utilizzando sugli stilemi del cinema di genere, un cinema che sa lavorare sui contrasti e sulle metafore per raccontarci un mondo che ci sfugge di mano.

Quando la morte si trasforma in oblio

Mumbai, centro città. Charu vive con due coinquiline in un appartamento di un grande palazzo e si occupa di analisi e strategie di marketing. E' sola in casa quando alla porta si presenta l'imbianchino chiamato per dipingere una parete del salotto. L'uomo entra, si cambia e inizia il lavoro cercando di accontentare Charu che gli ha chiesto di fare in fretta. Ma mentre lei è chiusa nella sua stanza e impegnata tra computer e telefono d'improvviso si sente un tonfo. L'uomo è a terra, sporco di vernice e privo di sensi. Presa dal panico Charu riesce a portarlo in ospedale ma il verdetto dei medici è chiaro: l'uomo ha un'emorragia e deve essere operato al più presto. Non si sa nulla di lui, in tasca ha solo un cellulare senza credito e senza numeri in rubrica e c'è un numero di telefono scritto a penna su un biglietto del treno. Nessun documento e nessun apparente contatto con il mondo. Dopo un primo momento di distacco Charu decide di pagare le spese mediche e di provare a rintracciare il datore di lavoro o la famiglia per ottenere l'autorizzazione all'intervento. Quando il giorno successivo arriva la notizia del decesso, la ragazza decide di scoprire a tutti i costi l'identità del defunto, arrivando fino alle baraccopoli della periferia. Attanagliata dal senso di colpa per aver ignorato quell'uomo silenzioso, Charu tenterà di impedire con tutte le sue forze che quel cadavere possa finire dimenticato sottoterra senza un nome e senza una traccia del suo passaggio in questo mondo.

Chi siamo? Cosa diventeremo? Come facciamo a connetterci con il mondo che ci circonda in un'era in cui la diffidenza e l'isolamento si sono impossessate della nostra quotidianità? Frenetico e straniante viaggio negli inferi dell'immigrazione clandestina e riflessione sulla modernità senz'anima del mondo del lavoro, I.D. è il terzo film del cineasta indiano Kamal K. M, un thriller metropolitano teso e claustrofobico appesantito da sound design martellante ad amplificare il senso di disorientamento della grande metropoli e la progressiva perdita di lucidità della protagonista. Ispirato ad un evento realmente accaduto ad un'amica del regista e sceneggiatore del film, I.D. è uno di quei film che ti porti dentro a lungo, di quelli che lasciano addosso un senso di angoscia e di frustrazione. Bravissima l'attrice protagonista Geetanjali Thapa nei panni di una donna che sente il peso della sua indifferenza e soffre la sua progressiva perdita di senso di responsabilità, anima smarrita nella giungla cittadina e al contempo incarnazione delle contraddizioni sociologiche di una società e di una generazione che ha perso tutti i suoi punti di riferimento.
Veloce, senza un attimo di sosta e misteriosamente avvincente nella prima parte; spasmodico e attaccato addosso alla protagonista che decide di addentrarsi tra i rifiuti e le macerie dei quartieri più malfamati e poveri della città, nella seconda parte. Quello di Kamal K.M. è cinema d'inchiesta e di denuncia sociale costruito utilizzando sugli stilemi del cinema di genere, un cinema che sa lavorare sui contrasti e sulle metafore per raccontarci un mondo che ci sfugge di mano, in cui l'egoismo, l'omertà e gli individualismi ci guidano in una dimensione totalmente scollata dalla realtà. E la sequenza finale I.D., che indugia su una città che grida aiuto attraverso i volti dei suoi migranti, è la tragica conclusione di un viaggio di speranza alla ricerca dell'altro e di noi stessi, una lenta discesa nell'oblio dell'anonimato in cui tutti siamo responsabili.

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4.0/5