Tacchi a spillo, vestiti aderenti ed espressioni sempre tese. Anita è un'arida manager di se stessa, scottata da trascorsi familiari insoliti e poco edificanti. Chiusa in una dimensione personale ed egoistica, per lei esiste soltanto la carriera, almeno sino a quando un improvviso inizio ed un'inaspettata fine la prendono in contropiede. Incinta e licenziata in tronco, la dark lady inizierà a progettare la sua personale vendetta e, per una volta, proverà a considerare l'ipotesi di farsi aiutare dal prossimo. Ed è con queste premesse che l'opera seconda di Giorgia Farina (qui ancora co-sceneggiatrice) conferma una certa attrazione registica per l'universo femminile, qui nettamente opposto a soggetti maschili meschini e poco rassicuranti, assieme ad uno sguardo cinico sulla famiglia e le sfere degli affetti.
Anestesia totale
Ho ucciso Napoleone procede frenetico, ambientato tra le magagne societarie di un'azienda farmaceutica, senza preoccuparsi di presentare dei personaggi poco simpatici e per i quali difficilmente si riesce a fare il tifo. Questo effetto anestetico, rischioso e insolito, è però funzionale a descrivere un panorama umano desolante e disgregato, naturale conseguenza di una visione disillusa. Laddove molte commedie italiane hanno ultimamente incoraggiato il concetto di "associazione" (Noi e la Giulia, Smetto quando voglio), il film di Farina abolisce qualsiasi possibilità di unione tra uomini e donne. Infatti, quello che potrebbe apparire come la classica storia di scontro tra generi, si risolve in qualcosa di meno convenzionale, almeno per il nostro cinema. Tutti contro tutti, solitudini e incapacità di collaborare ad obiettivi che non siano puramente personali. L'azienda che collassa è quindi l'immagine migliore di questa scoraggiante morale raccontata con vivacità e uno humor nero a volte brillante, altre meno pungente. Un prova di maturità registica, molto ben fotografata, scandita dai passi frenetici (ma mai isterici) di un'inedita Micaela Ramazzotti (per una volta fuori dai panni della svampita) e dal riuscito personaggio costruito da Libero De Rienzo.
Il nucleo familiare che collassa
Quella che va premiata in questo film è senza dubbio la crescita di una giovane autrice e l'incoraggiante visione di un percorso che ha una sua coerenza stilistica. Il gusto irriverente di Amiche da morire qui viene arricchito da una gestione più coesa dei tempi comici e da una narrazione che si apre anche a messaggi più complessi. Si tratta di flash, pochi ma fondamentali attimi in cui Giorgia Farina semina le ragioni di un palpabile malcontento. La sua anti-eroina sprezzante, così come qualche comprimario, sono il frutto di famiglie anti-convenzionali o disunite, vittime di scompensi affettivi alla base di un egocentrismo dominante, dove l'altro è solo una marionetta per arrivare all'obiettivo. Ho ucciso Napoleone non è un film nato per mettere tutti d'accordo, ma conserva un'energia promettente di qualcosa di nuovo. Un'opera stridente che vuole essere non convenzionale ma ha nostalgia del classico (la famiglia, appunto). Un curioso paradosso che, in attesa del vento, fa prendere una boccata di ossigeno alla commedia del nostro cinema.
Movieplayer.it
3.0/5